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Born in the USA: l'inno dell'America profonda

  • Alessandro Morelli
  • 4 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

Nelle sale italiane è ora disponibile per la visione il film “Springsteen - liberami dal nulla” in cui un eccelso Jeremy Allen White interpreta la leggendaria rockstar Bruce Springsteen. Il film tratto dall’omonimo romanzo non ripercorre l’intera vita del cantante, per quanto non manchino scene dell’infanzia di “The Boss” vissuta nella desolata Freehold con un padre alcolizzato, ma lo specifico periodo in cui viene sviluppato l’album Nebraska.

Nell’album era inizialmente presente, per poi essere tolta, quella che diventerà la sua hit più famosa: Born in the USA

La canzone, come tutte le canzoni che lasciano un segno, nasce con una contraddizione intrinseca ricercata dall’autore: ad accompagnare le strofe intrise di amarezza e depressione c’è una musica contraddistinta da una batteria esplosiva e dalla voce dirompente, e allo stesso tempo grattata, di Springsteen con cui viene urlato il ritornello che sembra esprimere tutta l’opulenza del patriottismo a stelle e strisce.


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E chissà se il progressista e fiero democratico Bruce Springsteen, in quel periodo di profonda depressione esistenziale, si sarebbe mai immaginato che a poco meno di 30 anni dal brano ad incarnare quei sentimenti della depressa working class dell’America lontana dalle grandi metropoli sarebbe stato il miliardario newyorkese Donald Trump, di cui la rockstar è sempre stato uno strenuo oppositore. 


Infatti, nonostante Springsteen abbia sempre impedito qualsiasi strumentalizzazione di Born in the USA e in particolare impedì a Reagan di utilizzarla nella campagna elettorale del 1984, il brano scritto nel 1981 sembra esprimere tutta la “stanchezza imperiale” e la depressione che affligge l’America di dentro che, sotto gli stemmi del Make America Great Again, riflesso politico di un sentimento popolare, sogna un paese disinteressato dei fatti del mondo e che metta al primo posto il benessere dei propri cittadini. 

I sintomi di questa depressione sono tangibili: secondo uno studio condotto da Gallup il 29% degli americani è stato diagnosticato almeno una volta depresso. Un altro numero drammatico sono le morti per overdose: dal 1999 quasi 1.500.000 di persone negli Stati Uniti sono morte per overdose legate agli oppioidi e il numero di morti l’anno è in aumento; nel solo 2023 le morti per overdose sono state 114.000 più dei soldati americani morti in Iraq, Afghanistan e Vietnam…messi insieme.


Born in the U.S.A. descrive proprio gli effetti della guerra del Vietnam, da cui forse possiamo tracciare l’inizio della disillusione americana, sui reduci. Il brano esprime quel sentimento di rabbia e depressione dovuto all'abbandono di uno Stato che ha mandato i propri cittadini ad uccidere “the yellow manin un luogo di cui neanche sapevano l’esistenza. 


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Analizziamo il testo: 

Dal primo verso della canzone Springsteen ci fa immergere in uno scenario completamente diverso da quello dell’elettrizzante New York o della calda Los Angeles; ci troviamo infatti in una “città di morti” in cui il sogno americano diventa utopia e in cui non vieni accudito bensì  “ricevi il primo calcio dal momento in cui poggi i piedi per terra”. 


"Born down in a dead man’s town


The first kick I took was when I hit the ground"


Come se non bastasse, le stesse istituzioni che hanno lasciato questa città morire si presentano con un fucile da offrire al protagonista con la sola condizione di utilizzarlo per uccidere l’uomo giallo, soprannome dato dai soldati americani ai vietnamiti. E una volta finita? Una volta tornato e riconsegnato il fucile però il posto alla “raffineria” non c’è più così come il fratello, di cui rimane solo una foto che lo ritrae tra le braccia di una ragazza vietnamita, una yellow woman di cui si era innamorato.

Quindi il ritornello, prima cantato con orgoglio, si fa pian piano più amaro…


perché mi succede questo se sono nato negli Stati Uniti? Perché il governo si preoccupa più di uccidere dall’altra parte del mondo piuttosto che aiutarmi qui? Perché non viene messa l’America First?


Questo sentimento di smarrimento e disillusione, covato da quelli che alle nostre latitudini chiamiamo bifolchi e che abitano l’America più dura descritta Springsteen, è deflagrato con il movimento MAGA. Nel fenomeno Trump ci sono tutte le rivendicazioni di chi dalle guerre che ha combattuto non ha ottenuto nulla, se non vana gloria e morte: dalla rabbia verso gli europei a cui vengono applicati dazi e umiliati perché rei di vivere meglio sulle spalle degli americani, alla volontà di disfare l’impero costruito col sangue dei giovani soldati americani e diventare una felice isola a sé stante passando per l’opposizione al deep state, colpevole di cospirare alle spalle del popolo americano. 


La domanda delle domande è perché i democratici si sono allontanati o meglio perché vengono percepiti così distanti dall’America profonda? Questa è probabilmente la questione politologica cruciale dei nostri tempi ma che ci teniamo per un prossimo articolo.


La musica così come la politica, Springsteen così come Trump, per quanto possano sembrare estranee e inconciliabili sono dirette emanazioni del sentimento della popolazione, o almeno di un parte di essa.

 
 
 

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