Quando l'Italia era Pro-Pal
- Alessandro Morelli
- 6 ott
- Tempo di lettura: 6 min
Adesso provate a immaginare un senatore di una forza politica moderata prendere la parola in Parlamento e pronunciare questa frase in merito a un attentato terroristico nei confronti di Israele: “Credo che ognuno di noi, se fosse nato lì in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista”. La prima sensazione sarebbe probabilmente quella di stupore, la dichiarazione invaderebbe i social e i salotti tv non parlerebbero d’altro per settimane. Queste conseguenze sarebbero ancora più accentuate se a recitare quella frase fosse stato il tre volte Presidente del Consiglio, ex ministro della Difesa e degli Affari Esteri Giulio Andreotti. L’esponente di spicco della Democrazia Cristiana e uno dei volti più noti della Prima Repubblica fece questa dichiarazione in Senato nel 2006 in merito alla guerra in Libano.
Questa dichiarazione non è un unicum della storia politica italiana:
Berlinguer, pur condannado la formula terroristica, definiva il destino del popolo palestinese un dramma e sul palco della Festa nazionale dell'Unità di Tirrenia nel 1982 denunciò “un odio razziale e belliscista” nell’amministrazione israeliana e si riferì ad Arafat (Leader dell’OLP) come “Compagno”.
Bettino Craxi nei panni di Presidente del Consiglio, riferendo alla Camera dei Deputati nel 1985, andò oltre rivendicando la legittimità della lotta armata del popolo palestinese pur esprimendo dubbi sulla sua efficacia. Per farlo richiamò addirittura l’esperienza di Mazzini, terrorista per il Regno di Sardegna ed eroe nazionale per l’Italia.
Probabilmente PRO-PAL è un’esagerazione ma per decenni l’Italia ha svolto un ruolo diplomatico di primo piano facendo da ponte tra Stati Uniti, Israele e appunto la Palestina rappresentata dall’OLP pur non riconoscendola ufficialmente. Ma perché l’Italia agì in questo modo? Come riuscì a ritagliarsi questa indipendenza dagli Stati Uniti? Perché non è più così? Riavvolgiamo il nastro:

COS’ERA L’OLP
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nasce nel 1964 sotto impulso della Lega Araba, da cui dipendeva, e il primo leader designato fu Aḥmad Shukeiri uomo molto vicino al presidente egiziano Nasser, sponsor principale della creazione dell’organizzazione su cui intendeva mantenere un controllo totale e utilizzarla come strumento nella lotta al sionismo. La sconfitta nella Guerra dei sei giorni del 1967 mette in difficoltà la linea egiziana e di conseguenza la figura di Shukeiri che è costretto alle dimissioni. A succedergli inizialmente fu Yahya Hammuda che lasciò definitivamente il posto a Yasser Arafat nel 1969 e la linea del nuovo presidente era semplice: indipendenza dagli Stati Arabi e lotta armata per attirare l’attenzione sul tema. Questa lotta armata consisteva in attacchi ad Israele ma anche azioni terroristiche internazionali, spesso utilizzando sue diramazioni non direttamente collegate all’OLP come Settembre Nero. In Italia furono due gli attentati: il primo contro i serbatoi di stoccaggio del petrolio greggio nella provincia di Trieste, il secondo e più eclatante nell'aeroporto di Fiumicino dove a bordo di un aereo diretto a Tel Aviv fu fatto esplodere un ordigno esplosivo che provocò 34 morti.
IL LODO MORO
A seguito di questi due attentati sul suolo italiano e di altri eventi simili in Europa, l’allora ministro degli esteri Aldo Moro avvia contatti segreti con l’OLP che portano ad un accordo informale tra le parti in cui i palestinesi si impegnavano a non compiere attentati sulla penisola e il governo italiano garantiva una sorta di “immunità diplomatica” ufficiosa sul proprio suolo. E’ necessario sottolineare che non si tratta di un accordo o atto singolo ma di un processo dinamico che avrà ripercussioni sul futuro della politica estera italiana. Questo momento rappresenta il primo punto di contatto documentato tra le parti.

IL SIMBOLO DEI RAPPORTI: LA GRANDE MOSCHEA DI ROMA
Non è probabilmente un caso che in quegli stessi anni (1974) venne approvato il progetto per la costruzione di una Grande Moschea a Roma, sede della cristianità. Più precisamente, quella che è ancora la più grande moschea d’Europa, si erge in un quartiere dove la presenza musulmana era ed è tuttora quasi inesistente ovvero Parioli. Il messaggio era chiaro: vogliamo essere il riferimento europeo del “mondo arabo”.
DALLA RAPPRESENTANZA ALL’OSPITALITA’ AD ARAFAT
I rapporti si intensificano ancora di più e portano alla nascita di una rappresentanza ufficiosa dell’OLP e l’uomo di riferimento è Nemer Hammad. Quest’ultimo è uomo di fiducia di Arafat e sarà presente durante la visita ufficiale del leader palestinese in Italia del 1982: Dopo essere stati cacciati dalla Giordania nel 1970, in quello che fu ribattezzato Settembre Nero (da cui prende il nome il gruppo citato in precedenza), il centro operativo dell’OLP si spostò in Libano, in particolare a Beirut al sud del paese da cui potevano essere lanciati attacchi verso Israele. Nell’estate del 1982 però lo Stato Ebraico lancia un’offensiva verso il Libano per eliminare la presenza palestinese nel paese e creare un cuscinetto securitario attorno alla Galilea, zona nord di Israele. Quest’operazione costrinse l’OLP e la popolazione palestinese ad evacuare verso la Tunisia; il traferimento fu diretto (male, basti pensare alle stragi di Sabra e Shatila in cui le milizie falangiste cristiane, col benestare di Israele, entrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila uccidendo dagli 800 a 2000 palestinesi) da Stati Uniti, Francia e Italia che sarà il primo paese occidentale ad accogliere Arafat e di fatto legittimandolo come capo di Stato e come interlocutore sulla scena internazionale. In quell’occasione esplosero tutte le contraddizioni interne alla politica italiana in merito alla questione che osserviamo tuttora: mentre il Presidente della Repubblica Pertini, la Presidente della Camera Nilde Iotti, Berlinguer, Craxi e alcuni esponenti della DC accolsero e parteciparono ad incontri con il leader palestinese; il Presidente del Consiglio Spadolini rifiutò di incontrare Arafat tenendo fede alla linea americo-israeliana. Il suo rifiuto non impedì la legittimazione dell’OLP sul piano internazionale concesso dall’Italia che Arafat descriverà sui suoi diari come “una sponda palestinese nel Mediterraneo”.

LA POLITICA DI CRAXI E SIGONELLA
Con l’arrivo di Craxi a Palazzo Chigi e con Andreotti ministro degli Esteri, entriamo in un’epoca di interventismo diplomatico “mediterraneo”. L’assioma era puramente geopolitico: “data la nostra posizione geografica, rivendichiamo una politica estera autonoma dagli Stati Uniti che ha nel Mar Mediterraneo la sua proiezione”. Seppur questa visione creasse frizioni con l’egemone statunitense, Craxi e Andreotti proseguirono su questa via “mediterranea” colloquiando apertamente con la sponda opposta. In merito a questo ricordiamo una serie di incontri svolti tra 1984 e 1985 in Africa con Arafat (rifugiato in Tunisia), Gheddafi (dittatore libico) e Mubarak (presidente egiziano). L’Italia rimaneva alleata di Washington ma manteneva una propria agenda in politica estera.

La tensione accumulata con gli USA esplose nel 1985 con la celeberrima crisi di Sigonella: Il 7 ottobre 1985 quattro militanti palestinesi del Fronte per la Liberazione della Palestina (differente dall’OLP che condannò l’accaduto) presero in ostaggio l’imbarcazione italiana Achille Lauro, chiedendo il rilascio di prigionieri detenuti in Israele. L’Italia optò per la via diplomatica, nonostante le pressioni di Washington affinché si intervenisse militarmente, e riuscì a ottenere il rilascio degli ostaggi in cambio di un salvacondotto per i dirottatori che furono imbarcati su un aereo direzione Tunisi. Solo in seguito venne fuori la notizia dell’omicidio del cittadino statunitense di fede ebraica Leon Klinghoffer, gesto che trasformò immediatamente la vicenda da affare italiano a internazionale. La notte del 10 ottobre l’aereo su cui viaggiavano i dirottatori fu intercettato da caccia statunitensi, costretto ad atterrare nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, e circondato dai Navy Seals americani a cui era stato ordinato di assumere la custodia dei dirottatori, ma il governo italiano rivendicò con fermezza la giurisdizione nazionale, essendo la nave italiana. Ne seguì uno stallo armato in pista, con carabinieri e soldati italiani che circondarono i Seals statunitensi, impedendo loro di agire. Alla fine, la linea di Craxi prevalse: i dirottatori furono presi in consegna dall’Italia e processati nei tribunali nazionali, mentre il dirigente palestinese Abu Abbas riuscì a lasciare il paese. Quest'episodio fu l’apice e il simbolo della linea mediterranea italiana a cui, come tutti gli apici, seguì un lento declino.

PERCHE’ IL DECLINO?
Con Tangentopoli il sistema politico italiano viene disintegrato e l’Italia perde gli architetti di quell’asse e la capacità di sostenere un disegno del genere. Ma ridurre la cessazione di una linea strategica alla caduta di singoli leader è riduttivo e probabilmente fuorviante. Il fatto principale che ha segnato il declino dell’influenza italiana nel Mediterraneo è l’implosione dell’Unione Sovietica: la logica bipolare unita alla posizione dell’Italia aveva fatto sì che quest’ultima potesse ritagliarsi un piccolo spazio d’influenza nel mare nostrum che con l’egemonia globale americana viene meno, ora è Washington ha dettare i tempi anche nel fianco sud dell’Alleanza Atlantica. Dopo il crollo del Muro di Berlino infatti osserviamo un allineamento totale italiano alla strategia statunitense che ha portato il Belpaese a partecipare anche ad azioni che andavano contro i suoi stessi interessi come gli interventi in Libia nel 2011 che portarono alla caduta di Gheddafi.
ED ORA? La realtà è sotto gli occhi di tutti: l’Italia, così come l’Europa intera, è spettatore anzi tifoso perchè non imparziale e costretta ad applaudire o tentare di giustificare in ogni caso le gesta dei propri beniamini. Cosa che in fondo ci conviene, essere Ponzio Pilato ci fa dormire meglio la notte.
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