top of page

L'Italia davanti al tempo che finisce

  • Mario Mariano
  • 15 set
  • Tempo di lettura: 4 min


Sostenibilità come occasione e come destino, da Mattei a Gardini fino a noi

C’è una domanda che non può più essere rimandata, una domanda che si affaccia in modo sempre più urgente ogni volta che una crisi ambientale si sovrappone a un’emergenza energetica, che una frana travolge un territorio fragile, che un’infrastruttura cede, che un raccolto va perso per il troppo caldo o per l’assenza d’acqua, che un’impresa chiude perché non riesce a sostenere i costi dell’energia o della materia prima.La domanda è questa: che tipo di Paese vogliamo diventare, ora che il futuro non è più un’ipotesi ma una scelta che incombe sul presente?

Nel momento in cui la sostenibilità smette di essere una formula astratta e diventa la condizione operativa per continuare a vivere, produrre, competere, occupare un posto nel mondo, l’Italia è chiamata a decidere se intende trattare la transizione ecologica come una vera politica industriale o semplicemente come una cornice da colorare di verde intorno a ciò che già esiste.


La realtà che cambia, e la possibilità concreta di guidare il cambiamento

Nel corso del 2024, l’Italia ha compiuto un passo rilevante, installando 7.48 gigawatt di nuova capacità rinnovabile, un risultato che rappresenta il massimo storico mai raggiunto nel nostro Paese in termini di potenziamento della produzione da fonti pulite. Il fotovoltaico ha superato i 37 GW, l’eolico ha raggiunto quota 13 GW, e si è registrata un’accelerazione significativa nell’integrazione di sistemi di accumulo elettrochimico, con oltre 2 GW di storage installati in un solo anno.

Si tratta di numeri importanti, che segnano un cambio di passo, una risposta concreta all’urgenza energetica e ambientale, ma che, per quanto positivi, restano insufficienti se paragonati agli obiettivi che l’Italia si è data, e che l’Europa ci chiede di rispettare entro il 2030.

Per essere allineati a una traiettoria compatibile con la neutralità climatica e con una reale indipendenza energetica, l’Italia dovrebbe installare almeno 10 GW all’anno di rinnovabili per i prossimi cinque anni, superare i colli di bottiglia autorizzativi, rafforzare la rete elettrica, e accompagnare l’intero sistema produttivo in una trasformazione profonda e sistemica, che non riguarda solo l’energia ma anche l’edilizia, la mobilità, l’agricoltura, la logistica e il ciclo delle risorse.

Tutto questo non per spirito ambientalista o per pressioni esterne, ma perché la sostenibilità è ormai la chiave per rafforzare la competitività del Paese, migliorare la qualità della vita delle persone, stabilizzare i conti pubblici, creare occupazione qualificata e soprattutto offrire una prospettiva industriale coerente con il mondo che sta emergendo.


Non ci manca la storia, ci manca il coraggio di riprenderla

Chi dice che l’Italia non ha mai avuto una visione industriale legata all’ambiente, all’energia e all’autonomia strategica, dimentica o ignora quanto invece la nostra storia recente sia ricca di esempi che hanno saputo unire impresa, innovazione e interesse nazionale.

Enrico Mattei, in un’Italia ancora ferita dalla guerra, seppe immaginare una nuova presenza italiana nel mondo, costruendo una politica energetica capace di sfidare l’oligopolio delle multinazionali e di trattare con dignità e rispetto i Paesi produttori di petrolio.Seppe vedere, con anni di anticipo, che l’energia non è solo una questione tecnica, ma un nodo geopolitico, sociale e culturale, e che un Paese che non possiede una strategia energetica autonoma è destinato a dipendere da altri, e quindi a non contare.


Enrico Mattei
Enrico Mattei

E ancora più sorprendente, perché incompreso e anticipatore, è stato Raul Gardini, figura atipica nel panorama imprenditoriale italiano, tanto discusso quanto dimenticato, ma che oggi merita di essere riletto come uno dei pochi industriali che provò a immaginare un futuro produttivo davvero diverso.

Alla fine degli anni ottanta, quando la chimica mondiale era ancora dominata dal petrolio e da logiche centralizzate, Gardini, alla guida del gruppo Ferruzzi-Montedison, immaginò un’industria capace di dialogare con l’ambiente, con l’agricoltura e con il territorio. Fondò Agrimont, investì in bioplastiche a base di amidi, sviluppò linee di fertilizzanti organici a basso impatto ambientale, e parlava, senza slogan, di una chimica che parte dalla terra e torna alla terra, anticipando con precisione sorprendente quella che oggi chiamiamo economia circolare.

Gardini non era un teorico né un idealista: era un uomo d’impresa, ma con una visione lunga, capace di comprendere che il futuro della chimica, dell’agricoltura e dell’industria poteva e doveva convergere in una nuova alleanza tra economia e biosfera.Il suo progetto era ambizioso, forse troppo per l’Italia del tempo: cercava di costruire un sistema integrato, dove i rifiuti diventassero risorse, dove la ricerca scientifica servisse la sostenibilità, dove l’innovazione industriale non producesse solo profitto, ma anche continuità ecologica.

Fu ostacolato, incompreso, e alla fine travolto. La sua figura fu ridotta a una pagina giudiziaria, la sua eredità dispersa. Eppure, oggi, a distanza di trent’anni, le sue intuizioni sono al centro dei piani industriali più avanzati in Europa.

Quello che Gardini vedeva come possibile, è oggi necessario e ciò che allora sembrava utopia, è oggi semplicemente realismo.


Gianni Agnelli, Silvio Berlusconi e Raul Gardini
Gianni Agnelli, Silvio Berlusconi e Raul Gardini

Una sfida da giocare con maturità, e non più da rimandare

L’Italia ha oggi una finestra concreta di opportunità: dispone di fondi europei, di tecnologie disponibili, di competenze diffuse, di territori pronti a sperimentare, di imprese disposte a innovare. Ma ha bisogno di una guida, una direzione, una volontà collettiva di tenere insieme ciò che oggi è troppo frammentato.

Servirebbe una strategia nazionale integrata, con obiettivi misurabili, strumenti chiari e tempi certi, che non cambi ad ogni legislatura o in base al ciclo elettorale.Servirebbe una pubblica amministrazione rinnovata, formata, capace di attuare progetti complessi, di monitorare, valutare, correggere.Servirebbe una scuola che formi figure professionali nuove, capaci di operare in settori che stanno emergendo oggi e che saranno centrali domani.Servirebbe, in definitiva, una nuova cultura del possibile, capace di tenere insieme sviluppo e cura, mercato e ambiente, tecnologia e bellezza.


Il tempo della decisione

Ciò che ci aspetta non è una crisi, ma una metamorfosi.

Non una rinuncia, ma una riconversione intelligente.

Non un salto nel buio, ma un salto nella maturità.

Mattei ci ha mostrato che un Paese può avere una voce forte, se ha un progetto.

Gardini ci ha insegnato che il futuro può essere costruito anche se il presente non è pronto.

Sta a noi, ora, decidere se raccogliere quella eredità e portarla nel tempo che ci è dato.

Non sarà facile. Ma è possibile.

 
 
 

Commenti


bottom of page