Italia: Debito da record o sfida da vincere?
- Mario Mariano
- 1 set
- Tempo di lettura: 5 min
L’Italia vive una delle sue stagioni economiche più complesse degli ultimi decenni. Non siamo in recessione, non siamo ufficialmente in default, ma ci troviamo in una zona grigia in cui la somma tra alta esposizione debitoria, crescita debole e sfiducia politica rischia di creare un ordigno potenzialmente esplosivo. A maggio 2025 il debito pubblico ha raggiunto 3.053,5 miliardi di euro: un record storico, anche se con un leggero calo rispetto al mese precedente, dovuto più a movimenti tecnici che a segnali strutturali. Il problema italiano non è nuovo. Il nostro Paese convive con un debito cronico da oltre quaranta anni. Ma oggi, in un mondo dove i tassi d’interesse non sono più a zero e dove la Banca Centrale Europea non ci protegge più come prima, ogni euro di debito pesa il doppio. E ogni punto di spread è una condanna futura per chi dovrà pagare: cioè noi, i cittadini.

Un debito che non si ferma
Dal 2020 a oggi, il debito pubblico italiano è aumentato di circa 500 miliardi di euro, complice la pandemia, le crisi energetiche, l’inflazione e una sequenza di governi che, pur con differenze politiche, hanno tutti scelto la via dell’intervento pubblico per sostenere famiglie e imprese. Una scelta che, nell’immediato, ha salvato pezzi interi del tessuto sociale. Ma che ora presenta il conto. Il rapporto Debito/PIL sfiora oggi il 140%. Un dato che colloca l’Italia tra i paesi più indebitati d’Europa (seconda solo alla Grecia) e che rende estremamente vulnerabile qualsiasi deviazione dai parametri di bilancio. Per ogni punto di crescita del PIL che manca, il peso del debito aumenta. E se i tassi salgono, anche solo dello 0,5%, gli interessi da pagare possono aumentare di 10-15 miliardi l’anno.
Deficit Fuori Controllo
Il deficit pubblico ovvero la differenza tra entrate e uscite annuali è tornato a salire bruscamente. Per il 2024 si stima un disavanzo superiore al 7% del PIL, più del doppio del tetto fissato dal Patto di Stabilità europeo. La Commissione UE ha già avviato l’iter per una procedura per disavanzo eccessivo, che potrebbe trasformarsi in un obbligo di ‘rientro forzato’ con tagli, vincoli e correttivi imposti.
Il governo ha giustificato il livello di deficit con una combinazione di fattori: spese eccezionali per contenere gli effetti dell’inflazione, fondi straordinari per la difesa, cofinanziamento del PNRR e misure per sostenere salari e pensioni. Tuttavia, senza un aumento strutturale del gettito fiscale o una crescita reale del PIL, questo deficit rischia di diventare una zavorra per i prossimi anni.
Spread e agenzie di rating: Il termometro della fiducia
Lo spread tra BTP e Bund tedeschi è tornato a salire in modo preoccupante, muovendosi attorno ai 190-200 punti base, ma con possibili impennate in caso di shock esterni o incertezze politiche. Lo spread è il termometro della fiducia degli investitori internazionali verso l’Italia: se sale, vuol dire che il rischio percepito sul nostro debito aumenta. E con esso, anche il costo per rifinanziare quel debito.
Le agenzie di rating osservano l’Italia con crescente diffidenza. Per ora i giudizi sono rimasti stabili, ma l’Outlook, la prospettiva a breve termine, è negativo. Un eventuale declassamento a junk bond non è impossibile, e significherebbe una fuga dei fondi internazionali, un aumento drammatico dei rendimenti e un rischio sistemico per l’intera Eurozona.
Crescita economica: La grande assente
L’unica via per ridurre il debito è crescere. E qui si apre il vero nodo.
L’Italia da oltre 20 anni ha una delle crescite più basse d’Europa. Il PIL reale è cresciuto a ritmi irrisori, e nel 2024 si è fermato a un modesto +0,7%, trainato più da export e turismo che da investimenti strutturali. La produttività è ferma, la natalità in calo, e il divario Nord-Sud persiste.
Il PNRR era ed è l’occasione per invertire la rotta. Ma tra ritardi, burocrazia e difficoltà nella messa a terra dei progetti si rischia che i fondi europei si traducano in poca spesa reale.
Senza una crescita stabile, ogni strategia di rientro dal debito diventa pura illusione contabile.
Il paradosso della BCE
Dal 2015 al 2022 la Banca Centrale Europea ha funzionato da salvagente silenzioso per l’Italia. Acquistando migliaia di miliardi di euro in titoli di Stato, ha ridotto artificialmente i tassi d’interesse, permettendoci di emettere nuovo debito a costo quasi nullo. Grazie al Quantitative Easing, lo spread è stato tenuto sotto controllo, anche nei momenti più difficili.
Oggi però, lo scenario è radicalmente cambiato. La BCE ha fermato gli acquisti netti, ha avviato il Quantitative Tightening, e ha rialzato i tassi d’interesse ai livelli più alti dal 2001. L’Italia è tornata sola davanti ai mercati. Questo significa che ogni nuovo BTP va venduto sul mercato privato, con tassi molto più elevati e senza alcuna rete di protezione. Se la fiducia cala, il costo esplode. È il paradosso di essere legati all’euro ma senza più il sostegno attivo della banca centrale. Un problema che rende urgente una nuova riflessione sul ruolo della BCE in un’unione monetaria incompleta.
Politica Interna: Tra Consenso e Scelte Coraggiose
La politica italiana oscilla tra promesse di spesa e richiami al rigore. Ma il tempo dei bonus e delle soluzioni tampone sembra finito. Oggi servono scelte impopolari, ma necessarie: taglio delle spese improduttive, riforma del fisco, snellimento della macchina pubblica. Ogni ritardo si traduce in nuovi interessi da pagare e minori risorse per la crescita.
Nel frattempo, la retorica populista rischia di danneggiare ulteriormente la nostra credibilità internazionale. Parlare di ‘debito buono’ ha senso solo se esiste un piano credibile per trasformarlo in crescita. Altrimenti è solo un’altra cambiale scaricata sulle spalle delle future generazioni.
L’Europa e il futuro del patto di stabilità
Il Patto di Stabilità è stato riattivato dopo la sospensione durante il covid, ma è anche in fase di riforma. Le nuove regole, ancora in discussione, mirano a introdurre più flessibilità per gli investimenti strategici, ma chiedono in cambio piani credibili di riduzione del debito. L’Italia è osservata speciale: Bruxelles vuole numeri, scadenze e risultati.
Se la procedura per disavanzo eccessivo verrà attivata formalmente a settembre, scatteranno vincoli stringenti. Ma sarà anche il momento in cui Roma potrà dimostrare che è capace di costruire un percorso serio di consolidamento.
Che succede adesso?
Il mese di settembre 2025 sarà un passaggio chiave. La Commissione UE emetterà il suo giudizio sui conti italiani e potrebbe decidere di applicare vincoli duri. L’Italia sarà chiamata a scegliere: aderire a un percorso rigoroso oppure sfidare apertamente Bruxelles. In entrambi i casi, le conseguenze saranno profonde, sia sul piano politico che economico.
Il debito non è il nostro destino, ma nemmeno è un qualcosa da ignorare. È una sfida politica, economica e culturale. Servono riforme vere, visione di lungo termine e, soprattutto, una nuova credibilità internazionale.
Se vogliamo evitare che l’Italia venga commissariata dai mercati o da Bruxelles, dobbiamo agire ora.
Non domani, non dopo le elezioni. Adesso.
Italia: Debito da record o sfida da vincere?
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