Il sogno americano si tinge di rosso: Zohran Mamdani è sindaco di New York
- Lorenzo Piccheri
- 5 nov
- Tempo di lettura: 7 min
“Nel bene o nel male, purché se ne parli”. Questo concetto, parafrasato da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, sembra aver preso vita ed essersi personificato nella figura di Zohran Mamdani, nuovo sindaco di New York. I sondaggi, che lo indicavano infatti come netto vincitore nella competizione con l’ex governatore Andrew Cuomo e il repubblicano Curtis Sliwa, questa volta hanno indovinato.

I più avvezzi alla politica statunitense avranno già familiarità con il sistema bipolare a stelle e strisce: vari candidati delle due ali, Repubblicana e Democratica, si presentano ai propri elettori nella speranza di ottenere maggiori consensi dei propri colleghi della stessa frangia politica, così da aggiudicarsi la vittoria alle primarie e con queste il sostegno del partito. In questo caso, però, la corsa alla poltrona di sindaco ha un’anomalia tutta Dem: sono stati due i candidati a correre sotto la stessa bandiera dei Donkeys e si è trattato ovviamente di Mamdani e Andrew Cuomo, politico di lungo corso uscito sconfitto alle primarie.
L'identikit
Zohran Mamdani, 34 anni, musulmano, nato in Uganda da una famiglia di origini indiane. Figlio dell’intellettuale ugandese Mahmood Mamdani e della regista Mira Nair, è cresciuto tra Sudafrica e New York City e sembra essere l’incarnazione di quel Sogno Americano su cui si fonda la cultura statunitense. Grazie alla sua esperienza lavorativa come housing counselor si è avvicinato ai problemi concreti degli abitanti del Queens, quartiere che oggi rappresenta. Nel 2020 è stato eletto all’Assemblea dello Stato di New York come membro dei Democratic Socialists of America, movimento che ha acquisito importanza grazie alla campagna elettorale di Bernie Sanders nel 2016. Da allora si è distinto per il suo impegno su casa, trasporti pubblici e diritti dei lavoratori.
Come un underdog, Mamdani ha saputo conquistare la scena politica ottenendo il voto di più di un newyorkese su due. Ma la sua rivoluzionarietà non risiede nell’età né nella religione: ciò che ha realmente scosso l’establishment è il suo programma di stampo socialista: Mamdani propone infatti autobus gratuiti, un tetto massimo agli affitti (che a Manhattan costano in media 4700$), un salario minimo di 30 dollari l’ora, asili nido pubblici e riforme per la sicurezza e l’inclusione LGBTQ+. Un piano che finanzierà — sostiene — con una tassazione più alta sui profitti superiori al milione di dollari annui. Un approccio che ribalta la logica di chi per anni ha governato compiacendo i grandi donatori, le mani che nutrivano determinate politiche.
È proprio il candidato sindaco a squarciare il velo di Maya su tali dinamiche, evidenziando in un’intervista a Fox News come durante il suo mandato Andrew Cuomo avrebbe assegnato 959 milioni di dollari in finanziamenti pubblici a Elon Musk, nell’ottica del progetto SolarCity. Tuttavia, dei 3000 posti di lavoro che l’uomo più ricco al mondo aveva promesso non ne è stato creato nemmeno uno, tacciando così tale finanziamento di “boondoggle”, ovvero spreco di fondi pubblici a scopi privati. Nell’intervista, continua affermando che sta nella volontà della classe dirigente la scelta di utilizzare quei fondi per i lavoratori, anziché per i ricchi.

Il programma
Il programma di Mamdani è un manifesto politico che sembra uscito da un’altra epoca, ma parla con forza all’America di oggi. Il suo obiettivo è chiaro: ribaltare la logica del profitto nelle politiche urbane. “Housing by and for New York” non è solo uno slogan, ma la promessa di costruire duecentomila nuove abitazioni a canone calmierato, finanziate con fondi pubblici e realizzate da sindacati. A questo si aggiunge la proposta di rendere gratuiti gli autobus, considerati un servizio essenziale come l’acqua o la luce, e di creare negozi alimentari pubblici per frenare la speculazione sui beni primari. Mamdani parla di quell’equità che non si limita ai buoni propositi: assistenza gratuita per l’infanzia, investimenti massicci nella scuola pubblica, e una sicurezza cittadina affidata più agli assistenti sociali che agli agenti in divisa. È una visione che divide, ma che riaccende il dibattito su cosa significhi davvero “governare per la gente”.
Per comprendere la portata del cambiamento che potrebbe portare, bisogna immergersi nell’immaginario americano. Quand’anche da noi l’approvazione di tali riforme verrebbe tacciata di sovietismo, aberrando la tassazione sugli extra-profitti o il salario minimo, negli Stati Uniti la parola “pubblico” spaventa quasi più di “comunista”. La sanità è infatti a pagamento, così come lo è l’istruzione. Il Sogno Americano promette a qualsiasi persona che parta da zero di avere le condizioni per potersi arricchire, e ciò senza che nessuna riserva federale possa richiedere che una parte di quei soldi venga devoluta per il pubblico bene. Ancor di più in questo momento storico, in cui il presidente della superpotenza accusa gli immigrati di “mangiare i cani e i gatti”, e chi si riconosce nella comunità LGBTQ+ di essere promotore di devianze infantili e adolescenziali, un tale consenso ad un sindaco così progressista era totalmente inaspettato, nonostante New York sia un ecosistema a sé stante rispetto al resto del paese.
La comunicazione
Questo è stato possibile grazie alla sua grassroots campaign, una campagna elettorale partita dal basso che si è posta come obiettivo primario l’ascolto e l’inclusione degli individui anziché dei grandi donatori.
Mamdani invece ha coinvolto anche i piccoli donatori nella sua ascesa, valorizzando anche donazioni di pochi dollari e soprattutto mostrandosi presente e includendo i newyorkesi nei processi decisionali. Un’altra mossa in questo senso è stata fatta per il merchandising (siamo contenti che Zhoran abbia apprezzato il nostro logo e la nostra scelta dei colori) riservato ai soli donatori e non venduto al pubblico. Sono stati molti i convegni organizzati in sua presenza, lontani dalle scene dei grandi palchi e più figli di una politica vera, quasi nostalgica, e presente sul territorio. Oltre ai banchetti Mamdani non ha fatto mancare la sua presenza anche in luogo meno avvezzi alla discussione politica come le discoteche o la partita dei Knicks.
Ha saputo inoltre sfruttare i nuovi media a suo favore, utilizzando reels e video a fruizione veloce per spiegare le sue idee, seguendo la sua regola dei “tre tre”: saper spiegare un concetto in un video di 30 secondi, in un intervento di 3 minuti e in un podcast di 3 ore. Utilizzando infatti video sia comici che seri, oltre a spezzoni dei suoi dibattiti, Zohran è stato in grado di approcciarsi a una grande audience online che rompe i confini di New York City e arriva fino al nostro continente.

La stessa audience che lo ha accompagnato, domenica 26 ottobre, ad un comizio nello stadio Forest Hills del Queens, dove si sono riunite 15 mila persone per assistere al trio Mamdani-Sanders-Ocasio Cortez, con gli ultimi due che hanno dato il loro endorsement alla candidatura del 34enne. La sua vittoria sarebbe uno spartiacque, in quanto nessun socialista democratico aveva mai ottenuto una carica pubblica di tale importanza, e ciò otterrebbe ancora più risalto nel momento in cui è il repubblicano ultraconservatore Donald Trump l’inquilino della Casa Bianca.
L'opposizione dentro e fuori il partito
Ma si sa, gli USA non sono certo la nazione più aperta a ricevere rivoluzioni “sinistroidi”, specialmente in uno degli stati più importanti. Le reazioni sono state diverse già dalle fila del partito Dem, con Kamala Harris che nel mostrare supporto alla candidatura di Mamdani si è limitata a chiamarlo “il candidato democratico” e con l’establishment che sostiene la candidatura indipendente di Cuomo contrariamente alla volontà della base del partito che lo ha fatto fuori alle primarie e nonostante le accuse di molestie sessuali sul luogo di lavoro da parte di ben 11 ex collaboratrici.
Spostandoci più a destra, i MAGA hanno utilizzato un approccio più che mai maccartista nel tentativo di arginare i consensi del candidato. Egli viene infatti descritto come un marxista e un jihadista, pericoloso per i fondamenti capitalisti americani e per l’alleanza con Israele. Ciò ha spinto il presidente USA Donald Trump a dare il suo, vano, endorsement alla candidatura di Andrew Cuomo dichiarando “Se devo scegliere tra un cattivo democrtico e un comunista, sceglierò sempre un cattivo democratico” e di fatto scaricando il candidato repubblicano Sliwa. I conservatori più avventurosi sono arrivati a strumentalizzare la tragedia delle Torri Gemelle, affermando che i newyorkesi si sono dimenticati e stanno offendendo la memoria delle 2606 persone morte negli attentati dell’11 settembre 2001. Il solo essere musulmano di Mamdani lo porterebbe così ad essere avventore del terrorismo islamico, della shar’ia e della “sostituzione etnica”.
Ma la polemica non si ferma alla destra trumpiana. A criticare Mamdani è arrivata anche una parte del mondo ebraico americano: oltre mille rabbini, riuniti in una lettera aperta, hanno definito il candidato “apertamente antisionista” e “pericoloso per la sicurezza della comunità ebraica”. La contestazione nasce dal suo sostegno al movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) e dalla richiesta di sospendere gli aiuti militari statunitensi a Israele dopo la guerra di Gaza. Mamdani, da parte sua, ha risposto definendo la critica un “tentativo deliberato di confondere antisionismo e antisemitismo”, ricordando che “criticare un governo non significa odiare un popolo” (amen).
In risposta alle crescenti tensioni, Mamdani ha avviato una serie di incontri con rabbini e rappresentanti delle comunità ebraiche newyorkesi, visitando sinagoghe e partecipando a tavole rotonde nel tentativo di ristabilire un dialogo diretto. La sua campagna punta infatti a rassicurare gli elettori ebrei preoccupati per la sicurezza e l’inclusione civica, sottolineando che la tutela delle minoranze, comprese quelle religiose, è parte integrante del suo programma.
Mamdani non fa però paura solo all’establishment bipartisan: a tremare sono anche i billionaires. Bill Ackman, Ronald Lauder, William Lauder, Barry Diller e Dan Loeb, 5 diversi CEO di aziende con sede a New York il cui patrimonio netto sommato tocca i 23 miliardi di dollari hanno inviato ingenti donazioni all’organizzazione Free The City che sostiene la candidatura indipendente di Andrew Cuomo. Ma il Mamdani Effect non si esaurisce nel fiume Hudson: anche altri miliardari, le cui aziende hanno sedi in diverse parti degli Stati Uniti, temono la possibilità che la tassazione venga estesa nelle loro città, che un’ondata socialista travolga i 50 stati. Pertanto hanno provveduto a supportare la medesima associazione, con donazioni che hanno raggiunto i 40 milioni di dollari (abbastanza per garantire la circolazione gratuita sugli autobus newyorkesi per circa 20 giorni).

Aria fresca
L’ascesa di Mamdani sembra dare uno spiraglio di realpolitik, nel senso buono del termine, lontana dai palazzi del potere, dai nodi alla cravatta e dalle affermazioni di convenienza. Che si sia d’accordo o meno con le sue idee, il fenomeno Mamdani è una boccata d’aria fresca perché sa di politica vera, una politica che torna sul territorio e parla alla gente, una politica of the people, for the people, by the people.
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