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Panama e Groenlandia.

  • Lorenzo Piccheri
  • 20 gen
  • Tempo di lettura: 5 min

La strategia dietro le provocazioni.

“No, non lo posso assicurare”. Questa è la risposta del Tycoon d’America, Donald Trump, di fronte alla domanda “Può assicurare al mondo che non userà ritorsioni militari o economiche nei confronti di Panama e della Groenlandia?”. Prosegue affermando “We need them for our economic security”, ne abbiamo bisogno per la nostra sicurezza economica. Per quanto possa sembrare strano, non è la prima volta che gli Stati Uniti d’America pongono le proprie mire sulla Groenlandia, ad oggi stato autonomo seppur formalmente parte della Danimarca. Il primo a tentare l’acquisto fu, nel 1867, il presidente Andrew Johnson, seguito da Woodrow Wilson nel 1917, di Harry Truman nel 1946 e infine sempre di Trump, ma nel 2019. Ma perché la Groenlandia è così affascinante agli occhi dei presidenti a stelle e strisce? Già dai tempi di Truman, la Groenlandia era vista come una base strategica di controllo del regime sovietico. Oggi, con lo scioglimento dei ghiacci polari, il ruolo ricoperto dalle potenze nell’artico sta diventando cruciale sia a livello militare che a livello commerciale: si sta infatti sviluppando una nuova via che mette in comunicazione l’Europa con l’Asia, passando proprio per l’Artico. Maggior controllo sulla Groenlandia significherebbe maggior controllo su queste rotte. Inoltre, la presenza americana in Groenlandia andrebbe a contrastare la crescente presenza militare russa nell’Artico, come nell’isola di Novaya Zemlya.


Noi europei abbiamo una percezione errata della Groenlandia come di un lembo di terra nord-americano, ben lontano dal continente asiatico, dominato al nord dalla Russia. Tale percezione è dovuta alle cartine geografiche a cui siamo abituati, frutto della proiezione di Mercatore, in quanto a tali distanze dall’Equatore le misure degli stati sono estremamente deformate. Osservando questa mappa si può invece notare come, nella zona in alto a destra rispetto alla Groenlandia, fatte salve le isole Svalbard, è tutto territorio russo: la penisola di Kola, confinante con la Finlandia; l’arcipelago di Francesco Giuseppe, l’isola di Novaya Zemlya. In tutti questi posti sono presenti insediamenti militari russi. L’artico è quindi un luogo strategico per le operazioni militari, e ciò concorre all’interesse americano, pur non essendone l'unica causa. Un altro importante fattore è lo sfruttamento delle risorse naturali: gli Stati Uniti stanno cercando di ridurre la propria dipendenza energetica da paesi politicamente instabili; l’Iraq, l’Arabia Saudita, l’Algeria sono solo alcuni dei paesi produttori di petrolio con cui commerciano gli americani, ma nessuno di questi è considerabile stabile politicamente. Secondo le stime, la Groenlandia avrebbe grandi giacimenti di petrolio a largo delle sue coste, soprattutto nel mare di Barents e nel mare di Labrador. Ebbene, lo scioglimento dei ghiacci polari sta pian piano rivelando queste terre: ciò rende il loro sfruttamento sempre più facile.


C’è da sottolineare che, nel 2017, il Congresso americano sotto l’amministrazione Trump ha approvato un programma di sfruttamento petrolifero dell’Arctic National Wildlife Refuge, una delle più grandi aree incontaminate degli Stati Uniti. Sebbene l’amministrazione Biden abbia tentato (senza grandi successi) di bloccare tale iniziativa, si teme che il neo-eletto Trump possa riprendere il programma di sfruttamento dell’Artico e proporre un modello simile allorché dovesse riuscire ad appropriarsi della Groenlandia. Un altro aspetto da non sottovalutare è la presenza delle cosiddette terre rare, oggi utilizzate nella realizzazione di batterie per veicoli elettrici e dispositivi elettronici. Attualmente, la Cina è la fonte primaria di questi materiali, il che la rende pioniere globale e partner commerciale strategico. Il possesso americano di terre che garantiscano la presenza di questi minerali aprirebbe ad una maggior indipendenza dalla Cina, nonché ad una concorrenza a livello globale con l’antagonista asiatico (che rimarrebbe comunque il maggior produttore con ben il 70% della produzione). Ma quindi, quanto è probabile un intervento militare volto a sovvertire il potere legittimo in Groenlandia? Sebbene un attacco di un paese NATO verso un altro paese dell’alleanza Atlantica non rientri nella fattispecie di cui all’articolo 5, riguardo la difesa collettiva, sicuramente genererebbe una risposta da tutto il mondo occidentale, Unione Europea in primis. Gli attori internazionali che hanno interesse a mantenere un’influenza nel continente europeo a livello militare sono due: gli Stati Uniti e la Russia. Una tale operazione militare genererebbe un paradosso: per concorrere agli interessi commerciali russi nell’artico, gli Stati Uniti si renderebbero nemici di tutto il continente europeo, lasciando la strada spianata all’influenza russa. Pertanto la probabilità di un’operazione militare sovversiva è zero. Per quanto riguarda la situazione di Panama, l'obiettivo statunitense sarebbe il canale che mette in comunicazione l’Oceano Atlantico con il Pacifico. La gestione del canale, di costruzione statunitense, viene ceduta a Panama nel 1977, mediante il trattato Torrijos-Carter, tra il leader panameño Omar Torrijos e il presidente americano Jimmy Carter, che si concretizzerà nel 1999 con il completo ritiro delle forze statunitensi dal canale di Panama.

Perché questo ritorno di fiamma? Bisogna tener conto del fatto che il 90% del commercio mondiale avviene via mare, sfruttando le cosiddette SLOC, le Sea Lines of Communication, linee di comunicazione marine. Gli stretti e i passaggi obbligati sono ciò che più influenza le linee di comunicazione, pertanto controllare gli stretti significa controllare il commercio globale, rendendosi i migliori partner sul mercato e il canale di Panama è uno degli snodi più importanti al mondo: basti pensare che senza di esso, una nave che voglia raggiungere la East Coast americana dalla West Coast dovrebbe aggirare completamente il Sud America. Gli Stati Uniti, attualmente, sono presenti militarmente o comunque influenzano in un certo qual modo (soprattutto mediante alleanze economiche) diversi stretti, tra cui Panama stesso, Hormuz (all’ingresso del golfo Persico), Bab el-Mandeb (ingresso da sud del mar Rosso) e Dover (tra Francia e Gran Bretagna). L’egemonia americana sul mondo si basa sull’acqua. Ma se sono già particolarmente presenti a Panama grazie ad accordi di collaborazione, perché Trump dovrebbe voler riappropriarsene? Ebbene, secondo il neo-eletto presidente, gli obblighi dettati dal trattato del ‘77 non sarebbero stati rispettati: tale trattato, insieme a quello del ‘99, obbligava Panama a gestire in maniera neutrale il canale permettendo, tra l’altro, agli Stati Uniti di difendere militarmente il canale. Ciononostante, in quegli anni, la gestione dei due porti d’ingresso al canale fu affidata ad una compagnia con sede a Hong Kong, allora colonia britannica. Nel 1997, però, Hong Kong è tornata ad essere ufficialmente sotto la sovranità cinese e con la nuova legge approvata nel 2024 è anche di fatto sotto il controllo di Pechino. È quindi inaccettabile che le entrate per il canale più importante sia per il commercio che per l’esercito statunitense siano gestite dalla Cina, ad oggi principale competitor. Il Tycoon si è sempre contraddistinto per i suoi toni forti e decisi, utili nelle trattative che sicuramente ci saranno con il governo panamense e danese. Ne è stata la prova il cessate il fuoco a Gaza che, come confermato dallo stesso Biden, era lo stesso proposto alla parti il Marzo scorso. Ma è servita la spinta prepotente di Trump per far stringere la mano alle parti: il presidente aveva infatti annunciato che se non si fosse raggiunto un accordo prima del suo insediamento “In Medio Oriente si sarebbe scatenato l’inferno”.


Same old Trump.



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