Un’Europa più sicura? Il Vertice di Copenaghen e le sfide della guerra ibrida
- Elisa Gallo
- 8 ott
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Il vertice informale del Consiglio europeo tenutosi a Copenaghen si è aperto con l’impegno dei Capi di Stato e di governo dell’Unione europea a rafforzare la difesa nel continente, priorità recentemente evocata nel discorso annuale sullo stato dell’Unione (SOTEU) nel quale la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito difesa e sicurezza strumenti essenziali per garantire un’Europa “libera e indipendente”. Il presidente del Consiglio europeo António Costa il 1 ottobre ha convocato i 27 capi di Stato e di governo dell’Ue ospitati dalla Danimarca (che attualmente detiene il semestre di presidenza del Consiglio) in vista della conferenza della Comunità politica europea del giorno successivo e del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre.

Nell’ultimo anno, il protrarsi della “guerra ibrida” (così definita dalla prima ministra danese Mette Frederiksen) e l’apparente disinteresse dell’amministrazione statunitense relativamente alla sicurezza europea, hanno sollecitato l’adozione di misure comunitarie nel settore della difesa. I recenti sconfinamenti di droni non identificati (di sospetta provenienza russa) nello spazio aereo di Polonia, Estonia, Romania e Danimarca, in aggiunta a sabotaggi, al danneggiamento dei cavi sottomarini, alla disinformazione e ai ripetuti attacchi informatici, hanno palesato i tentativi di destabilizzare e dividere l’Unione europea, che hanno inevitabilmente determinato un rallentamento dei lavori a Bruxelles.
IL PIANO EASTERN FLANK WATCH
La presidente della Commissione ha in primo luogo evidenziato l’importanza dell’interoperabilità tra le forze NATO, UE e ONU, ribadendo che un rafforzamento della difesa europea non determini necessariamente una rottura con la NATO. A tale riguardo ha presentato il progetto di difesa Eastern Flank Watch ai capi di Stato e di governo dell’Unione, in risposta ai recenti sviluppi e alle preoccupazioni circa il protrarsi della guerra ibrida. Il programma persegue l’obiettivo di contrastare le minacce al confine orientale rafforzando i confini terrestri, specie le zone oggetto degli sconfinamenti. Il piano comprende inoltre la realizzazione del Drone Wall, un sistema in grado di rilevare, intercettare e neutralizzare i droni in caso di incursione. Ad esso si aggiungono l’Air Defence Shield e lo Space Defence Shield, strumenti di difesa aerea e spaziale dei quali non sono ancora noti la portata e le implicazioni. Sulla stessa linea d’azione Estonia, Lettonia e Lituania hanno avviato il progetto Baltic Defence Line attualmente in via di definizione, cui ha aderito la Finlandia. L’iniziativa beneficia di circa un miliardo e mezzo di euro erogati dall’Unione ai fini della sorveglianza dei confini orientali.
LE DIVISIONI
La misura ha tuttavia sollevato perplessità circa le risorse stanziate, dividendo l’Europa tra chi sostiene la necessità di procedere mediante l’emissione di debito comune europeo e chi invece sollecita il ricorso allo strumento SAFE (Security Action for Europe, parte delle misure previste dal ReArm Europe in seguito ridenominato Readiness 2030) in grado di erogare prestiti fino a 150 miliardi di euro destinati alla cooperazione comune negli acquisti in mezzi di difesa.
A tale riguardo Emmanuel Macron ha espresso timori, ritenendo che le misure intraprese a livello sovranazionale possano determinare un ridotto intervento nazionale in materia. Di ulteriore avviso è invece il premier ceco Petr Fiala, il quale ribadisce il proprio impegno ad investire nello sviluppo tecnologico, con speciale riferimento al sistema di droni. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, diversamente, richiama l’attenzione sul “fianco sud”, pur riconoscendo la rilevanza del tema. Condanna invece l’irresponsabilità dell’operazione della Global Sumud Flotilla, in contrasto con le dichiarazioni del premier spagnolo Pedro Sánchez.
IL DOSSIER UCRAINO
La divisione europea è ulteriormente messa in luce dalle complessità in materia di allargamento riscontrate dal presidente del Consiglio europeo António Costa. L’adesione dell’Ucraina resta infatti bloccata a causa del veto ungherese, apposto in virtù dei dubbi sull’allargamento a un paese in pieno conflitto, perplessità confermate dall’esito del referendum consultivo il cui quesito concerne l’adesione dell’Ucraina all’Unione (concluso con il 95% di voti contrari). L’ostruzionismo ungherese rende dunque manifeste le difficoltà dell’Ue per quanto attiene all’unità europea e pone interrogativi circa la sua credibilità ed efficienza operativa. Nonostante il tentativo del presidente del Consiglio europeo di aggirare l’ostruzionismo ungherese preparando i relativi dossier tecnici anticipatamente in modo da procedere immediatamente una volta venuto meno l’ostruzionismo di Budapest, e le discussioni circa la possibilità di modificare le maggioranze previste ai fini dell’adesione all’Unione, ad oggi l’ingresso di Kiev nell’Unione europea entro il 2030 appare poco realistico. A supporto di Kiev si è discusso tuttavia della possibilità di adoperare i beni russi congelati dall’Unione europea a seguito delle sanzioni. Il meccanismo dei “reparations loan” consentirebbe di erogare prestiti fino a 140 miliardi di euro, che l’Ucraina è tenuta a rimborsare solo se e quando la Russia pagherà le riparazioni di guerra. La proposta ha ottenuto il supporto di Finlandia e Svezia, ma ha incontrato le riserve di Belgio, Francia e Lussemburgo, reticenti rispetto a possibili violazioni del diritto internazionale e ritorsioni dalla Russia. Nonostante le divergenze, le parti hanno tuttavia rinnovato l’impegno ad elaborare una proposta più dettagliata da discutere nel prossimo consiglio Consiglio europeo.

SUL FRONTE INTERNAZIONALE
Sul fronte internazionale, nell’ultimo periodo l’Unione ha perseguito una politica di riavvicinamento verso l’India, nonostante il legame preoccupante di Nuova Delhi e Mosca messo in luce dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Kaja Kallas. L’ex primo ministro estone ha infatti sollevato dubbi circa la partecipazione dell’India alle esercitazioni militari di Russia e Bielorussia (Zapad 2025), unitamente all’acquisto di petrolio russo.
Grande assente dell’Agenda europea rimane invece il dossier Israele, giustificata dalla mancata unanimità circa le sanzioni imposte ai coloni israeliani e ai due ministri estremisti del governo di Benjamin Netanyahu, e della maggioranza qualificata circa le sanzioni contro lo Stato. La situazione è ulteriormente complicata in virtù dei negoziati in corso tra l’amministrazione Trump e il primo ministro israeliano, i cui sviluppi influiranno inevitabilmente sull’azione e l’efficienza della strategia comunitaria.
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