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Il punto sull'Ucraina

  • Alessandro Morelli
  • 15 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

La foto di Trump e Zelensky al funerale di Papa Francesco, oltre a riaffermare la crudità della politica e delle cose terrene davanti a un evento carico di spiritualità e solennità, rappresenta un ulteriore shift nella dialettica tra le parti in gioco nel conflitto russo-ucraino.

L’incontro, durato 15 minuti, non è stato sicuramente risolutore, non si risolve una guerra seduti in disparte a un funerale, ma ha lanciato un messaggio alla controparte russa: la palla ora sta a voi, noi vogliamo la pace.


Se infatti l’incontro nefasto alla Casa Bianca serviva dialetticamente a screditare Zelensky di fronte all’opinione pubblica mondiale (you’re gambling with WWIII) e a riabilitare mediaticamente Putin, dopo i bombardamenti della domenica delle palme e la tregua, unilateralmente annunciata e poi infranta, di Pasqua, la trattativa sembra aver cambiato marcia.


IL PUNTO SULL'UCRAINA

N.B. E’ di sabato 30 aprile infatti la notizia della firma del “Mineral Deal” che, oltre a garantire l’accesso a «depositi di minerali, idrocarburi, petrolio, gas naturale e altri minerali estraibili», garantisce una partnership reale tra gli Stati Uniti e l’Ucraina: (abbiamo dedicato un approfondimento che verrà pubblicato tra qualche giorno).

Oltre all’aspetto tecnico, c’è quello politico: nel testo si utilizza un linguaggio duro nei confronti della Russia individuata come aggressore.



L’unica cosa a non essere cambiata è la volontà americana: staccare la Russia dalla Cina.

Questo è un imperativo categorico per Washington che si prepara allo scontro frontale nel quadrante asiatico e non può permettere che la Cina ci arrivi sazia delle materie prime russe. L’accordo però manifesta la volontà statunitense di rimanere in territorio ucraino, seppur non ufficialmente, e questo rende la trattativa con Mosca molto più complicata.


IL PUNTO SULL'UCRAINA


La guerra in Ucraina ha isolato la Russia dall’Occidente e spinto quest’ultima nella morsa cinese, con cui Mosca condivide soltanto una generica volontà di rovesciare l’egemonia americana. Nonostante la presenza di Xi Jinping alla parata militare per l'80esimo anniversario della sconfitta del nazismo, non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze: Mosca e Pechino non hanno un rapporto paritario e, soprattutto, hanno storicamente un rapporto altalenante.


Tra i due soggetti ci sono grandi questioni di “inimicizia”, nonostante i due abbiano siglato “un’amicizia senza limiti”: 

La maggior parte del gas che la Russia vende a Pechino proviene dalla regione della Siberia, territorio storicamente conteso tra i due paesi, che, complice il surriscaldamento globale, sta diventando sempre più strategico e ospitale. Un ulteriore ostacolo alle relazioni tra i due giganti asiatici è l’Artico, la vera sfida che coinvolgerà le grandi potenze nel futuro; dalla presenza di minerali e terre rare alla rotta artica che, secondo le stime, diventerà navigabile entro il 2100 e riscriverà le regole della globalizzazione (il dominio degli Stati Uniti sul mare e gli stretti).


Oltre alle motivazioni puramente strategiche ci sono quelle umane, Russia e Cina sono due soggetti imperiali: Anche ai tempi dell’Unione Sovietica e della Cina maoista, momento in cui i due paesi erano, almeno ideologicamente, allineati (un po’ come ora); i due paesi interruppero le loro relazioni diplomatiche e si spararono al confine. 

A proposito delle tensioni tra i due paesi negli anni ‘60, mi sono imbattuto in un articolo di Vittorio Rossi, inviato speciale per “Il Corriere della Sera”, in cui, nel 1963, coglie esattamente il rapporto tra i due paesi, in quel momento non ancora “ufficialmente” in guerra come nel 1969:


IL PUNTO SULL'UCRAINA


Gli statunitensi, infatti, puntano sull’orgoglio imperiale russo, motore della guerra in Ucraina, e sulla stanchezza dell’Orso: Il conflitto, nato per ristabilire la Russia nel novero delle superpotenze (perseguito in una pura ottica imperiale), si è rivelato strategicamente una catastrofe, la scarsa performance militare ha dimostrato come la forza dell’esercito russo sia ormai lontano da quella dell’Armata Rossa. 

Seppur i russi stiano vincendo “tatticamente” la guerra, hanno dato una pessima performance militare, possiamo citare alcuni numeri:

  1. Al momento i russi controllano il 19% del territorio ucraino (includendo la Crimea) e avanzano molto lentamente

  2. Nessun Oblast è stato completamente conquistato 

  3. Secondo le stime statunitensi, europee e britanniche, le perdite russe (morti/feriti/dispersi) ammonterebbero a una cifra che oscilla tra le 320.000 e le 450.000 unità.


Ai numeri della guerra possiamo aggiungere anche i risvolti politici: l’aggressione dell’Ucraina, ha spinto Svezia e Finlandia ad aderire all’Alleanza Atlantica e messo in stato di allarme la Polonia e i paesi baltici che ora più che mai osservano con diffidenza l’ingombrante vicino. Persino l’Europa Occidentale, seppur fiaccata dall’altissima età media e affetta da un post-storicismo in stato avanzato, sembra dare cenni di risveglio.


IL PUNTO SULL'UCRAINA

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