Intervista a Alessia Piperno
- Lorenzo Piccheri
- 20 mar
- Tempo di lettura: 5 min
Il carcere di Evin e la diplomazia degli ostaggi.

Prefazione
Evin.
Un nome che periodicamente torna a calcare le prime pagine dei giornali internazionali, simbolo della repressione politica iraniana e oggetto, negli anni, di numerosi report di organizzazioni quali Amnesty International che ne denunciano le condizioni di detenzione disumane.

Dal 1972, nella periferia di Teheran, Evin imprigiona oppositori politici, attivisti, studenti e giornalisti. Fondato dallo scià Mohammad Reza Pahlavi, è stato poi occupato nel 1979 dai rivoluzionari islamici, e le sue funzioni non sono particolarmente variate da allora. Secondo il Wall Street Journal, tra i circa 15 mila detenuti ci sono almeno 30 occidentali, sebbene sia impossibile definire il numero esatto: i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo, come raccontato da Alessia Piperno, scrittrice romana detenuta a Evin nel 2022, nel suo libro “Azadi!”.
Le false accuse mosse verso i cittadini occidentali sono utilizzate come contropartita in difficili trattative diplomatiche. La repubblica degli Ayatollah usa queste persone come merce di scambio, per ottenere il rilascio dei propri cittadini detenuti all’estero o, citando il New York Times, “usarli come pedine per ottenere soldi e concessioni”. E’ così che i detenuti stranieri diventano oggetto della cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”, una pratica utilizzata fin dalle origini della Repubblica Islamica: già nella crisi degli ostaggi del 1979, i funzionari dell’ambasciata statunitense a Teheran vennero presi d’assalto e tenuti prigionieri, proprio ad Evin, per un anno e mezzo.

Ad Evin le giornate sono interminabili: i prigionieri sono detenuti in celle sovraffollate, perennemente illuminate da forti luci bianche. Qualsiasi libertà, lì, è negata, persino quella di lavarsi o di utilizzare il bagno. Così, ogni piccolo gesto diventa prezioso: il sorriso di una compagna di cella, il canto di un uccello fuori dalla finestra, quei pochi raggi di sole che si fanno spazio tra le sbarre della finestra. Pezzi della vita dall’interno del carcere, raccontati da chi è riuscito ad uscirne.
Lo sa bene la giornalista Cecilia Sala, vittima della diplomazia degli ostaggi, utilizzata dagli Ayatollah come oggetto di scambio per ottenere la liberazione del cittadino iraniano Abedini appena arrestato in Italia. Arrestata il 19 dicembre 2024 e detenuta per 21 giorni in una cella d’isolamento ad Evin, era in Iran con regolare visto giornalistico. Ciononostante, è stata fermata dalla polizia iraniana mentre si trovava nella sua camera d’hotel, poche ore prima del suo volo di rientro in Italia.

Lo sa altrettanto bene Alessia Piperno, ragazza romana detenuta ad Evin a settembre del 2022, periodo nel quale si consumarono violente proteste in seguito alla morte di Mahsa Amini, ragazza 22enne picchiata a morte dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente l’hijab. La sua morte generò un’ondata di manifestazioni di solidarietà e contro le brutalità del regime iraniano, in cui uomini e donne vivono tuttora una difficile condizione dettata dalle politiche della Sharì’ah.

Quest’ultima rappresenta l’applicazione di norme di diritto che combinano legislazione statale e legge islamica: sebbene il Corano ponga l’uomo e la donna in una condizione di sostanziale uguaglianza di fronte a Dio, varie frasi coraniche rimarcano come l’uomo si trovi “un gradino più in alto” rispetto alla donna: basti pensare che la diya, ovvero il risarcimento dovuto in seguito ad un omicidio, nel caso in cui la vittima sia una donna prevede un pagamento pari alla metà dell’indennizzo dovuto quando la vittima sia un uomo. Mahsa Amini morì dopo 3 giorni di coma, sebbene la polizia iraniana dichiari che la sua morte fu dovuta ad un attacco cardiaco sopraggiunto in una stazione di polizia in cui la ragazza era stata portata per essere “istruita”. Sono stati però i lividi sulle gambe della ragazza a suggerire le responsabilità delle violenze della polizia.

Ed è proprio contro queste brutalità che si è scagliata Alessia, in un post del 20 settembre 2022 sul suo profilo Instagram travel.adventure.freedom. Il commento di Alessia evidenzia come al posto di Mahsa si sarebbe potuta trovare una qualsiasi delle tante donne iraniane che ha conosciuto durante il suo viaggio, a voler sottolineare che la sottomissione di genere è una realtà vissuta da tutte le donne che vivono nella repubblica degli Ayatollah, e mette in risalto il coraggio che esse hanno nel prendere parte a proteste anti-regime.
Continua poi in un secondo post, raccontando una vicenda per la quale lei stessa si è trovata all’interno di una delle proteste, represse con gli spari e con i fumogeni per far disperdere la folla. Racconta inoltre il grido di aiuto di una famiglia comparsa alla porta dell’ostello in cui la blogger alloggiava, dove lei e il suo gruppo di amici non hanno esitato a prestare soccorso, nonostante la barriera linguistica di cui racconta la stessa blogger: la bambina soccorsa oltrepassa questo ostacolo, disegnando sul telefono di Alessia una casa e un sole.
Queste persone a cui prestano soccorso, insieme a tutte le altre persone incontrate, rimangono nel cuore della ragazza, che a PoliticaZeta racconta come queste, insieme ai colori delle moschee e dei paesaggi iraniani a fare da contorno, siano il ricordo più bello che le è rimasto di quel viaggio. Pochi giorni dopo quei post, la blogger viene arrestata insieme a tutto il suo gruppo al termine di una serata: nel suo libro descrive la confusione di quel momento, l’insicurezza e la paura dei giorni successivi. Ci spiega poi che, prima del suo arresto, non si era mai sentita in pericolo nonostante le tensioni politiche.
Vengono condotti ad Evin dove trascorrono le settimane successive. Tra gli altri prigionieri Louis Arnaud, cittadino francese liberato proprio all’inizio di quest’estate. La paura diventa terrore, soprattutto il 15 ottobre 2022, in occasione di un incendio all’interno del carcere preceduto da spari ed esplosioni. Le motivazioni dell’incendio non sono chiare, alcune fonti parlano di rivolte interne, mentre altre collegano l’incendio alle proteste antigovernative di quel periodo. La blogger racconta di aver immaginato uno scenario di guerra: sente le esplosioni, la vista è appannata dal fumo, sente le urla dall’interno del carcere. Le donne urlano “Azadi! Azadi! Azadi!”, “Libertà, libertà, libertà!”.

Lei e le sue compagne di cella escono illese dall’incendio, ma rimane l’accresciuta consapevolezza della difficile situazione in cui si trovano. Il confinamento estremo, la deumanizzazione, la paura di non rivedere più la propria casa.
Il 10 novembre 2022 viene liberata e fa rientro in Italia, e scrive il suo libro in cui racconta ciò che ha visto e vissuto ad Evin. Ci racconta che, una volta atterrata in Italia, il suo primo gesto è stato correre a riabbracciare i suoi genitori, che spesso erano stati usati dai pasdaran come oggetto di vessazione psicologica nei confronti della ragazza: “hai fatto morire tua madre di crepacuore”, le dicevano. Continua evidenziando come, dopo solo pochi giorni, abbia deciso di iniziare a scrivere Azadi, per raccontare la sua esperienza ma anche la forza di chi, tutt’oggi, è ancora rinchiuso ad Evin.
Alla notizia dell’arresto di Cecilia Sala, l’immedesimazione è fulminea e afferma di aver provato un déjà vu:
“Ho avuto molta paura per lei e ho sperato, fin dal primo momento, che potesse tornare a casa il prima possibile”.
Insieme a lei, in quella sera di settembre, viene condotto in carcere anche il suo amico Louis Arnaud, liberato solo quest’estate dopo 20 mesi di prigionia.
“Ci siamo rincontrati a settembre a Parigi. È stato l’abbraccio più emozionante di sempre, insieme a quello che ho dato ai miei genitori al mio ritorno dall’Iran".
Concludiamo l’intervista con un messaggio che Alessia vuole rivolgere a tutte le persone ancora detenute ad Evin:
“Il mio messaggio per le persone detenute a Evin è di non dimenticarsi mai di se stesse. Esistiamo, nonostante tutto, oltre le mura bianche, oltre le grida, oltre i diritti calpestati. Non lasciate che vi spoglino della vostra identità: restare fedeli a ciò che siete è l’unico modo per conservare la libertà dentro di voi".
.png)



Commenti