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“La SLA ha perso, io ho vinto”: la storia di Ada e il diritto al suicidio assistito in Italia

  • Anna Arfè
  • 14 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Il 7 ottobre 2025 segna una data importante per la libertà individuale in Italia: 

Ada, 44enne campana affetta da SLA, ha ottenuto il via libera per accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito. Dopo un percorso difficile, fatto di ostacoli burocratici e una lunga battaglia legale sostenuta dall’Associazione Luca Coscioni, Ada è oggi la prima persona in Campania a vedersi riconosciuto questo diritto in base alle più recenti pronunce della Corte costituzionale. 


Un diritto già riconosciuto, ma ancora da conquistare 


Ada non ha vinto solo una battaglia personale: ha fatto valere un diritto che in Italia esiste dal 2019, ma che continua a essere ostacolato nella sua applicazione concreta. 

Tutto inizia con la sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, conosciuta come sentenza Cappato, che ha sancito la possibilità di accedere al suicidio assistito in specifiche condizioni: 

presenza di una patologia irreversibile; 

• sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; 

• piena capacità di intendere e di volere; 

• possibilità di autosomministrarsi il farmaco letale. 


A distanza di sei anni, però, ottenere l’effettivo accesso a questo diritto è ancora un percorso a ostacoli. Ne è prova il caso di Ada, che ha dovuto affrontare un primo diniego da parte della ASL, ed è stata costretta a fare ricorso al tribunale di Napoli, grazie al supporto legale dell’Associazione Luca Coscioni. 


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La svolta del 7 ottobre 2025 


Dopo mesi di attesa e incertezze, il 7 ottobre è arrivata la svolta: la ASL ha riconosciuto ufficialmente che Ada possiede tutti i requisiti previsti dalla Corte costituzionale, anche alla luce delle più recenti sentenze n. 135/2024 e n. 66/2025, che hanno ribadito e chiarito gli obblighi delle autorità sanitarie. 

Con una comunicazione formale indirizzata ad Ada e ai suoi legali, l’azienda sanitaria ha annunciato che si procederà ora con le fasi esecutive previste dalla sentenza, ovvero: 


  • la scelta del farmaco; 

  • la definizione delle modalità di autosomministrazione, sotto il controllo medico. 


“Da oggi sono padrona della mia vita e del mio corpo” 

Le parole di Ada, affidate a un comunicato dell’Associazione Luca Coscioni, raccontano il senso profondo di questa conquista: 

“La SLA ha perso, io ho vinto. Non ci sono parole adatte a descrivere il mio stato d’animo, ma proverò a rendere l’idea. Quando ho letto le parole ‘parere favorevole’, ho sentito letteralmente un peso scivolare dalle mie spalle.” 

In quelle parole non c’è solo la fine di una battaglia legale, ma l’inizio di una nuova forma di libertà: sapere di avere una scelta. Non un obbligo, non una condanna, ma una possibilità concreta di decidere se, quando e come concludere la propria esistenza con dignità. 

“Non trascorrerò nemmeno un minuto in più ad avere paura di ciò che può farmi. Da oggi esiste solo il presente, e ogni giorno è prezioso.” 


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La libertà di scegliere come vivere… e come morire 


Il caso di Ada è emblematico perché mostra tutta la contraddizione tra il riconoscimento formale di un diritto e la sua attuazione concreta. Se non fosse stato per il supporto legale e l’aiuto di una rete di attivisti, probabilmente Ada non avrebbe potuto far valere quanto la Corte costituzionale ha già sancito da anni. 

“Auspico la stessa serenità per tutte le persone che affrontano la mia stessa condizione,” conclude Ada, “e che ogni essere umano possa un giorno esercitare questo diritto senza dover lottare fino all’ultimo respiro.” 

La sua storia è una testimonianza potente di autodeterminazione, dignità e coraggio, ma anche un appello chiaro alla politica e alle istituzioni: il diritto al suicidio medicalmente assistito esiste, ed è ora che sia realmente accessibile a chi ne ha bisogno. 


Un tema ancora aperto 


Il Parlamento italiano non ha ancora approvato una legge organica sul fine vita, lasciando la regolamentazione nelle mani delle sentenze della Corte costituzionale e delle prassi sanitarie locali. Questo vuoto normativo crea disparità, incertezze e ritardi. La vicenda di Ada dimostra che una legge chiara e uniforme è non solo necessaria, ma urgente. Fino ad allora, ogni persona che desidera esercitare questo diritto dovrà probabilmente, come Ada, lottare due volte: contro la propria malattia e contro la burocrazia.


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