La strategia Trump
- Lorenzo De Luca
- 17 feb
- Tempo di lettura: 4 min
Dazi al servizio della politica estera
Il commercio internazionale non è solo uno scambio di merci, ma una forza che unisce i paesi, promuovendo la crescita e la cooperazione globale. Donald Trump ha compreso che può utilizzare il commercio come un’arma per sviluppare la sua politica.

“Tariff is the most beautiful word”
Ha dichiarato il presidente americano che, appena insediato, dopo averli minacciati, ha firmato un presidential act con cui imponeva dazi del 25% nei confronti di Canada e Messico e del 10% su beni d’importazione cinese.
Le reazioni dei paesi in questione si è fatta sentire immediatamente, Messico e Canada, dopo l’appello all’OMC, hanno deciso di rispondere, mediaticamente, a tono:
Il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato dei dazi del 25% su 106 miliardi di dollari di Made in USA.
La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha ordinato al ministero dell’economia di far scattare una risposta che comprenda dazi e altre misure di rappresaglia.

La Cina, dal canto suo, ha fatto sapere che imporrà tariffe del 15% sulle importazioni di gas naturale e di carbone e del 10% sul petrolio greggio, farà ricorso a Washington presso l’OMC per le misure statunitensi che “violano gravemente le regole dell’organizzazione mondiale del commercio” ed ha avviato un’indagine a carico di Google, sospettata di aver “violato le leggi anti-monopolio cinesi” (quest’ultima ha piuttosto un valore simbolico essendo Google un colosso USA)

N.B.
L’acronimo OMC sta per “Organizzazione Mondiale del Commercio”, un organismo internazionale governativo cui aderiscono 166 stati che rappresentano il 97% del commercio mondiale di beni e servizi. L’OMC viene istituita il 1 Gennaio 1995,successivamente alla conclusione dei negoziati dell’accordo “Uruguay Round”:gli accordi alla base dell’organizzazione sono il quadro legale del sistema commerciale e sono vincolanti per tutti i membri aderenti.

Dopo questo tira e molla la “trade war” nel continente americano è stata congelata per un mese. Perché tanto clamore per poi ritirarli dopo poco? Semplicemente Trump ha ottenuto da Canada e Messico quello che voleva:
L’impegno dei due paesi ad aumentare i controlli nei confini con gli USA per impedire l’ingresso di fentanil, che ogni anno uccide più di 100.000 americani, e di migranti irregolari, centro della retorica del tycoon.
Canada e Messico, infatti, si sono impegnati a stanziare migliaia di truppe al confine e il congelamento della guerra commerciale per un mese da parte degli USA serve, in ottica trumpiana, a far sì che l’impegno dei due partner continentali non sia un semplice spot.
Peculiare è la situazione con la Cina: con Pechino Trump ha deciso di procedere, nonostante l’imminente “chiamata” con XI Jinping, e mantenere i dazi. L’accusa che Trump muove alla Cina è quella di produrre il fentanyl e di venderlo ai cartelli messicani, ma sappiamo tutti che la Cina è il grande rivale all’egemonia americana e i dazi, quindi, potrebbero servire a un piano più grande. C’è inoltre la questione legata alla Gigafactory di Tesla a Shanghai, impianto che ha una capacità annua di un milione di vetture, colonna portante dell’azienda di cui Musk è a capo.
CURIOSITA’
La questione legale legata ai dazi: International Emergency Economic Powers Act Per far scattare i dazi, Trump ha invocato una legge sulle emergenze nazionali: l’International Emergency Economic Powers Act, mai usata prima per imporre dazi commerciali. La legge emanata nel 1977, prevede la delega al presidente da parte del Congresso, in caso di emergenza nazionale e su base TEMPORANEA, di imporre SANZIONI sull’import in risposta ad una dichiarazione di emergenza e minacce dall’estero, per l’appunto, fentanyl e migranti. Anche Biden aveva invocato la legge ma per imporre sanzioni, non dazi.
La strategia Trumpiana
I fatti sopracitati esplicano la strategia di Trump: i dazi non sono il fine ultimo, ma un mezzo-minaccia per raggiungere gli obiettivi preposti dal presidente statunitense in politica estera o interna.

Trump sa che i dazi sono un colpo duro all’economia, anche a quella americana: Interessano un interscambio da 2.100 miliardi di dollari l’anno con Canada, Messico e Cina e mettono in discussione intere catene di produzione e forniture che vanno da generi alimentari,all’auto fino all’elettronica.
I tre paesi costituiscono il 40% dell’import USA di beni.
Se c’è un insegnamento da trarre dalla storia economica è che il protezionismo danneggia tutti, nessuno escluso, e questo lo sanno più di tutti gli americani che tramite la massiccia importazione di beni dai paesi “”alleati”” hanno reso questi ultimi dipendenti da loro.
Dopo Messico, Canada e Cina avanti un altro: L’Unione Europea: dialogo o “muro contro muro”?
Trump ha più volte confermato che arriveranno dazi anche per gli alleati europei che
“Ci trattano male, non comprano le nostre auto, non comprano i nostri prodotti agricoli, non comprano niente, il che è molto vergognoso”.
Ma tra i paesi dell’Unione si differenziano due approcci al problema, la prima guidata da Francia, Germania e la stessa presidente della Commissione Europea Von Der Leyen che prediligono una linea dura:
”la risposta a Trump deve avvenire con le sue stesse armi”.
La premier Meloni invece crede nel dialogo, in virtù del rapporto privilegiato con il Tycoon, per negoziare ed evitare una guerra commerciale.
“Dobbiamo mostrarci disponibili a dialogare con Trump per arrivare a soluzioni equilibrate, dobbiamo fare da ponte fra USA ed Europa”
queste le parole del vicepremier e ministro degli esteri Antonio Tajani.

Nel caso europeo Trump vuole che il vecchio continente aumenti l’acquisto del Made in USA, in particolare, di gas liquefatto e che tutti i paesi europei facenti parte della NATO aumentino la spesa militare. Il presidente americano si è sempre definito l’uomo degli accordi, abituato a trattare e ora lo sta facendo con la pistola sul tavolo, sta ai suoi interlocutori svelare il bluff.

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