L'onerosa tregua
- Jacopo Marinacci
- 30 lug
- Tempo di lettura: 5 min
La grigia Scozia è teatro di un’ “onerosa tregua” stretta fra Stati Uniti ed Unione Europea, un
evento che ha visto la diretta partecipazione di Donald Trump e di Ursula von der Leyen, in
cui è stato siglato un accordo commerciale di portata enorme: il “Patto di Turnberry”.
Questo patto giunge quattro giorni prima della scadenza del 1 agosto imposta da Washington, oltre la quale senza accordi commerciali transatlantici, gli USA avrebbero applicato dazi punitivi del 30% scatenando una sanguinosa guerra commerciale.
Snoccioliamo l’accordo, capiamo perché in realtà pur stabilizzando momentaneamente la
più grande relazione commerciale del mondo, metta a nudo le debolezze strutturali e le
divisioni interne dell'UE, la sua avversione al rischio e ponga le basi per nuove e significative
vulnerabilità strategiche future.
I Termini Del Patto:
Il nuovo standard: L’aliquota al 15%, fissa e forfettaria sulla quasi totalità delle
esportazioni europee verso gli USA. Un buon risultato se si pensa alle minacce di
Washington (dazi al 30%), una catastrofe se si pensa che la media preesistente dei dazi
sulle esportazioni UE verso gli Stati Uniti era di circa il 5%. La Presidente Von Der Leyen ha
ammesso che questo è “il massimo che sono riusciti ad ottenere”, lasciando intendere che la
posizione dell’UE nella trattativa non fosse delle migliori.
Energia, investimenti e difesa:
Bruxelles si impegna ad acquistare beni e servizi statunitensi per un valore di 1.35 triliardi, o
1350 miliardi di dollari, suddivisi in:
Prodotti energetici USA, GNL, petrolio e combustibili nucleari per 750 miliardi di dollari
Investimenti diretti dell’Unione Europea nell’economia statunitense per 600 miliardi
di dollari.
Punto su cui Trump ha insistito particolarmente è l’acquisto di grandi quantità di
materiale e prodotti militari statunitensi da parte dell’Unione Europea.
La Commissione giustifica l’acquisto dei prodotti energetici USA con la necessità di una
sicurezza e indipendenza energetica dalla Russia, che ad oggi ancora effettivamente manca
sul suolo europeo. Ha senso passare semplicemente da un cane rabbioso all’altro? La
soluzione con cui ci ritroviamo oggi è sterile, se prima ci trovavamo alle dipendenze russe,
ora abbiamo solo cambiato il nostro esattore.
Le ambiguità: acciaio, farmaci e il “framework”
L’accordo ha una natura precaria e ne sono prova le varie “zone grigie” e le palesi
contraddizioni tra il dire e il fare:
Acciaio e Alluminio: Questi sono i materiali strategici alla base della passata disputa
commerciale del 2018 fra UE e USA. Su di essi rimangono ad oggi applicati i dazi punitivi
del 50%, perché il nuovo accordo esclude i due materiali dalle negoziazioni.
Il “grigio” farmaceutico: Sul settore farmaceutico, le dichiarazioni dei due leader sono
state diametralmente opposte. Ursula von der Leyen ha incluso i farmaci tra i prodotti
soggetti al dazio del 15%. Al contrario, Donald Trump ha affermato che il settore è "escluso
dall'accordo", lasciando aperta la porta a dazi che, secondo minacce precedenti, potrebbero
raggiungere il 200%.
Il framework: Più che un trattato definitivo, sembra quindi un accordo quadro i cui
argomenti velenosi sono stati volutamente tralasciati per favorire un semplice compromesso
politico. L'incertezza che ne deriva è particolarmente dannosa per settori ad alta intensità di
ricerca e sviluppo come il farmaceutico, che necessitano di stabilità per pianificare
investimenti a lungo termine. La "stabilità" vantata dalla Commissione appare estremamente
fragile.

LA MAPPA: VINCITORI & VINTI
Automotive: Torna a respirare la Germania, che grazie all’accordo vede un prepotente
taglio ai dazi sull’automotive preesistenti che erano al 27,5%. il Cancelliere tedesco
Friedrich Merz ha lodato esplicitamente questo punto, parlando di un "conflitto commerciale
evitato". La reazione dei mercati finanziari è stata immediata e positiva, con un rialzo dei
titoli di Stellantis, Volkswagen, BMW e Mercedes.
La protezione del comparto auto era una priorità assoluta per la Germania. Il fatto che si sia
ottenuto un risultato così favorevole per questo settore, anche a costo di sacrificare altri
interessi, suggerisce come il peso economico e politico di Berlino abbia avuto un'influenza
determinante sulla linea negoziale della Commissione, rendendo l'accordo non
uniformemente "europeo".
Agroalimentare: Italia e Francia pagano un conto salatissimo
Il caso del vino: Una catastrofe per il settore italiano, che vedrà aumentare drasticamente i
dazi dal 2,5% al 15%, con un danno potenziale stimato dall’Unione Italiana Vini di circa 320
milioni di euro.
Olio e formaggi: Oltre ai dazi del 15%, dagli USA proviene la concorrenza sleale dell'
"Italian sounding" (prodotti come “Parmesan” o “Romano cheese” fabbricati negli USA), un
fenomeno che causa perdite stimate in 40 miliardi di euro l'anno e che l'accordo non affronta
minimamente.
Stime Complessive: Le stime sull'impatto economico per l'Italia sono allarmanti. L'agenzia
Cerved ha ipotizzato una perdita di fatturato per le imprese italiane superiore agli 8 miliardi
di euro, mentre Unimpresa parla di un costo per l'export che, al netto delle esenzioni,
potrebbe oscillare tra 6,7 e 7,5 miliardi.
Settori Strategici e a Dazio Zero: Le Oasi dell'Accordo
In contrasto con i settori penalizzati, l'accordo crea delle vere e proprie "oasi" a dazio zero
(zero-for-zero tariffs) per una serie di prodotti considerati strategici da entrambe le parti:
Aeromobili e relativa componentistica, ponendo una tregua nella storica disputa tra
Boeing e Airbus.
Prodotti chimici, farmaci generici e macchinari industriali.
Apparecchiature per la produzione di semiconduttori.
Materie prime critiche, litio e terre rare.
L'esenzione di questi settori non è randomica. Essa delinea una logica di "cooperazione
selettiva". Aree dove le catene transatlantiche sono profondamente interconnesse (come
l'aerospaziale) o dove esiste un interesse strategico comune a collaborare per contrastare la
concorrenza di attori terzi, come la Cina, nel campo dei semiconduttori e delle materie
prime. Settori dove la rabbia non può giocare un ruolo.
L'accordo, quindi, non è solo punitivo. Disegna una nuova architettura commerciale in
cui la cooperazione è incentivata in settori di reciproco interesse strategico, mentre la competizione diretta viene penalizzata in altri. È uno strumento per rimodellare le relazioni
commerciali, punendo la concorrenza (auto, cibo) ma premiando l'allineamento strategico
(tecnologia, difesa, politica anti-Cina).
L’accordo è probabilmente di portata storica, non tanto per una questione
economico-commerciale ma per l’effetto politico che avrà sull’ormai iper-citato soft-power
statunitense.
Gli americani hanno fatto cadere la maschera, come abbiamo accennato in qualche post,
Trump ha squarciato il Velo di Maya e mostrato quello che gli Stati Uniti sono da sempre, un
impero, l’egemone NON un alleato.
Quanto a noi, siamo senza speranza. A ogni avvenimento che ci dovrebbe far prendere il
contatto con la realtà rispondiamo con “Che l’Europa si svegli”, “Unione politica”, "Stati Uniti d'Europa" per poi finire sempre più in basso, raschiando raschiando e raschiando.
Dall’agguato diplomatico a Zelensky, a ”questi parassiti ci trattano male”, fino all’ultima
“Macron non conta nulla”.
Jusqu’ici tout va bien…fino alla prossima umiliazione. L'onerosa tregua
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