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Un anno dall’arresto di Alberto Trentini: "Parlate di lui"

  • Giada Aquilini
  • 15 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

Trascorsi esattamente 365 giorni dall’inizio della detenzione in Venezuela di Alberto Trentini, cooperante veneziano di 46 anni, la famiglia resta ancora in attesa delle motivazioni dell’arresto. Oggi a Milano si terrà una conferenza stampa, cui parteciperanno anche i legali e l’associazione Articolo 21, per chiedere nuova attenzione sul caso.


Alberto Trentini, originario del Lido di Venezia, venne fermato il 15 novembre 2024 ad un posto di blocco del Saime durante un viaggio da Caracas a Guasdualito (Venezuela), nel nord-ovest del paese mentre lavorava come cooperante per conto della ONG francese Humanity & Inclusion per l’assistenza di persone con disabilità. Da quel momento venne trasferito nella prigione di El Rodeo, con accuse ancora non formalizzate, ma che le autorità venezuelane riconducono a terrorismo e cospirazione. 


Cosa si è saputo in questi 365 dal carcere

I primi tre mesi li ha trascorsi in condizioni di isolamento totale, senza contatti con famiglia, avvocati o rappresentanti consolari. Dopo questo periodo iniziale, in cui non si hanno notizie sulle sue condizioni di detenzione, Trentini e il connazionale Mario Burlò - anch’egli detenuto lì per gli stessi reati - riferiscono di essere in buona salute e trattati bene: mangiano regolarmente e hanno accesso quotidiano all’ora d’aria. Solo quest’estate, l’ambasciatore italiano a Caracas, Giovanni Umberto De Vito, è riuscito a incontrarli e a consegnare loro beni essenziali e lettere dai familiari. Finora Alberto ha potuto effettuare solo tre telefonate a casa.


Prigionieri come merce di scambio

La Farnesina si è attivata per vie diplomatiche per riportarli in Italia, ma inizialmente si è mossa nel riserbo per non compromettere le trattative. Il ministro degli affari esteri Antonio Tajani ribadisce “sono prigionieri politici tutti gli italiani a cominciare da Alberto Trentini. Non sono prigionieri perché sono pericolosi criminali, trafficanti di armi o di droga: c’è sempre una scusa ma sono detenuti illegalmente. Noi stiamo profondendo tutti gli sforzi possibili per cercare di ottenere la liberazione di Trentini e di tutti gli altri connazionali”. Tajani ricorda che due connazionali sono stati rilasciati un mese e mezzo fa, ma che l’attuale clima di tensione rende difficile ogni dialogo.

I capi d’accusa sono contestazioni generiche, spesso ingiustificate, utilizzate dal regime per esercitare repressione e controllo sociale. Di fatti in Venezuela si contano oltre 800 prigionieri politici, molti dei quali detenuti senza processo. Questo fa di loro “merce di scambio” preziosa da utilizzare contro il nostro paese, ritenuto colpevole di non aver riconosciuto e legittimato le elezioni che nel 2024 hanno portato alla vittoria Nicolaś Maduro Moros. Quello che si chiede all’Italia è un riconoscimento politico. Una vicenda che ci ricorda il ben più discusso caso di Cecilia Sala, giornalista finita in un triangolo di potere tra Washington, Roma e Teheran.


L’appello della madre: “Parlate di lui”

La madre, Armanda Colusso, a distanza di un anno lancia un nuovo appello, chiedendo di parlare di lui:


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Continuare a parlare di lui. Solo una forte pressione mediatica può convincere chi ha il potere ad agire e riportarlo finalmente a casa”. 


La donna racconta di aver personalmente contattato la premier Giorgia Meloni, dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sull’impegno del governo: “Ha promesso il suo impegno, di aiutare e di farsi promotrice per la liberazione di Alberto. Questa sua promessa l’ha fatta all’Italia e al mondo”

La famiglia lancia un appello alle istituzioni per riaprire un dialogo con Maduro, soprattutto in un momento in cui i rapporti del nostro Paese - allineato alla posizione degli Stati Uniti - con il Venezuela restano tesi.  Eppure il il caso resta in silenzio e non suscita clamore nella società civile.

Anche la famiglia di Giulio Regeni lancia un appello televisivo per il giovane italiano, supportando la famiglia e comprendendo appieno il momento di dolore che stanno affrontando. 


Chi è Alberto Trentini

Laureato in Storia a Ca’ Foscari, con master in assistenza a Liverpool e in sanificazione dell’acqua a Leeds, Trentini ha avuto decine di esperienze sul capo tra Ecuador, Etiopia, Nepal e Perù. La sua carriera da cooperatore internazionale si è sviluppata tra Africa, Medio Oriente e America Latina, lavorando per Onu e progetti di assistenza. “Persona tenace, calma, animata da empatia: ha sempre combattuto per dare voce e sostegno ai più vulnerabili” La storia di Alberto Trentini riflette la storia di un'Italia solidale, che non si tira indietro di fronte ai bisognosi, ma anche la storia di chi rischia per queste missioni

Un ex detenuto svizzero, rilasciato recentemente dallo stesso carcere, racconta di averlo visto arrivare a Boleíta. Racconta le condizioni in cui lui stesso riversava: 45 minuti d’aria per tre volte a settimana, igiene minima e attività ridotte. Le guardie avevano sempre il volto coperto. “Non merita di stare lì e spero possa uscirne presto”. Durante le telefonate a casa Alberto si è sempre mostrato lucido, rassicurandosi delle condizioni di salute dei genitori.


La voce della società civile 

Oggi, nell’anniversario dell’arresto, la famiglia cercherà nuovamente di portare il caso al centro dell’opinione pubblica. Solo durante i primi tre mesi, la società si era mossa con iniziative di solidarietà, quali digiuni a staffetta, striscioni di sensibilizzazione e pressione sulle autorità. Poi è stata lanciata una petizione per sollecitare le istituzioni italiane, europee e alle Nazioni Unite chiedendo un’azione urgente per rilasciare immediatamente il connazionale, vedere garantita una piena tutela dei suoi diritti fondamentali, assicurarsi di una assistenza regolare e permettergli contatti con familiari e avvocati.


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