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La sottile linea tra movimenti di liberazione nazionale e terrorismo: l'ambiguità del terrorismo nel diritto internazionale

  • Lorenzo Piccheri
  • 13 nov
  • Tempo di lettura: 10 min

Uno spettro si aggira per l’Europa (e non solo): lo spettro del terrorismo. Da Hamas agli Antifa, non c’è movimento d’opposizione che oggi non venga tacciato di terrorismo.

Ma cos’è, il terrorismo?


Ambiguità del diritto internazionale 

Non esiste una definizione univoca di terrorismo: ciò che sarebbe così etichettabile secondo uno Stato, differisce dall’idea di un altro Stato. Così, nel diritto internazionale, non è il terrorismo in quanto tale ad essere definito, ma solo gli atti che ne costituiscono manifestazioni concrete, come il dirottamento o gli attentati a diplomatici. In questo senso, la Risoluzione 1566/2004 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU identifica gli atti terroristici come “gli atti criminali [...] compiuti [...] con lo scopo di intimidire una popolazione o costringere un governo [...] a compiere o astenersi da un’azione”.


Tuttavia, tale definizione apre ad un’ambiguità legislativa: determinati atti violenti sono stati il mezzo attraverso il quale i movimenti di liberazione nazionale hanno condotto la propria lotta verso la libertà. A porre in essere tale ambiguità vi è il riconoscimento dei movimenti di liberazione nazionale come soggetti di diritto internazionale sui generis, a patto che abbiano come fine ultimo l’autodeterminazione di un popolo. Infatti, un movimento di liberazione nazionale è considerato legittimo quando lotta per l’autodeterminazione contro una potenza straniera o un regime coloniale. Vien da sé, tuttavia, che questa definizione lascia spazio a grandi interpretazioni, non riuscendo a tracciare un confine univoco e definito tra tali movimenti e organizzazioni terroristiche. 


Tale definizione indica che un movimento, come fu ad esempio il Comitato Nazionale di Liberazione in Italia, che conduce una lotta armata contro un invasore, viene riconosciuto come soggetto legittimo nonostante utilizzi modalità d’azione terroristiche. Emblematico è il caso dell’attentato di via Rasella, quando i partigiani italiani uccisero oltre 30 militari nazisti con un carro-bomba. Sebbene quindi le modalità d’azione dei partigiani rientrassero nella definizione della risoluzione 1566/2004, i partigiani italiani sono (giustamente) riconosciuti come movimento di liberazione nazionale.


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Sensibilità della definizione

La definizione di tali movimenti diventa così estremamente sensibile al punto di vista di una determinata istituzione, organizzazione o governo. Di fronte ad un movimento di liberazione che si oppone al governo de facto di uno Stato, il supporto all’una o all’altra parte influenza la definizione del movimento come legittima o terroristica


Ciò permette agli esecutivi di etichettare come “terroristica” qualsiasi organizzazione si frapponga con i propri interessi, come nel caso di Donald Trump: il Tycoon ha infatti iscritto recentemente il movimento Antifa, nato per contrastare la rinascita di ideologie autoritarie e razziste attraverso forme di mobilitazione diretta, all’albo delle organizzazioni riconosciute come terroristiche. 


Un esempio della “comodità” della definizione terroristica è l’Esercito di Liberazione del Kosovo, o UÇK. 


Da terroristi a governo legittimo

Nella definizione dell’ambiguità tra organizzazione terrorista e movimento nazionale, emblematico è il caso dell’Ushtria Çlirimtare e Kosovës, un’organizzazione paramilitare kosovaro-albanese che ha rappresentato l’Esercito di Liberazione del Kosovo prima dello scoppio della guerra serbo-kosovara. Fondata negli anni ‘90, nel 1996 iniziò a sferrare diversi attacchi verso stazioni di polizia serbe. L’anno successivo, in occasione del funerale di un insegnante albanese ucciso da un poliziotto serbo, emanò una chiamata alle armi con l’obiettivo di rendere il Kosovo indipendente dalla Serbia. Inoltre, si parlava di un’unificazione con l’Albania e le comunità albanesi in Macedonia. Questo gli garantì il supporto della diaspora albanese, permettendogli di acquistare sempre più armi e di organizzare così un crescente numero di attacchi.


Tra il 1997 e il 1999 gli attentati dell’UÇK e le repressioni serbe crebbero fino a far scoppiare un vero e proprio conflitto tra il movimento e il governo centrale jugoslavo. La strategia serba includeva l’espulsione dei cittadini di etnia albanese residenti in Kosovo, insieme alle violenze perpetrate dalla polizia ai sospettati. La situazione portò così a un aumento del supporto da parte della popolazione kosovaro-albanese. Nel 1998 l’intensificarsi degli attacchi fece sì che l’UÇK venisse iscritta nella lista delle organizzazioni terroristiche. La crescente tensione spinse le organizzazioni internazionali, come la NATO, a mediare un incontro di pace tra l’organizzazione paramilitare e l’armata serba a Rambouillet, in Francia. Tuttavia, la Serbia rifiutò di sottoscrivere l’accordo di pace. In risposta, nel marzo 1999 la NATO lanciò l’operazione militare Allied Force contro svariati obiettivi serbi. I paesi del patto atlantico collaborarono dunque con l’UÇK nella neutralizzazione degli obiettivi, costringendo la già mutilata Jugoslavia ad una seconda trattativa di pace a giugno di quell’anno.



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Sebbene vari membri dell’UÇK siano stati successivamente processati per crimini di guerra, non è mai stato possibile provare che l’organizzazione in sé avesse come obiettivo il coinvolgimento di civili (colonna portante della strategia terrorista). Inoltre, la collaborazione durante l’operazione NATO permise all’UÇK di essere espunta dalle liste delle organizzazioni terroristiche di Stati Uniti, Regno Unito e altri paesi del patto, oltre allo stabilimento di relazioni diplomatiche con i suddetti stati. Riconoscere che l’UÇK non era terrorista significa riconoscere che, nonostante i mezzi utilizzati, era in lotta per l’indipendenza nazionale.


Diventa evidente come la definizione dell’UÇK abbia oscillato tra terrorista e legittimamente in lotta per l’indipendenza a seconda della convenienza degli attori statali e non statali coinvolti. Il gruppo paramilitare era infatti in condizione di debilitare maggiormente uno dei paesi storicamente nemici del Patto Atlantico come la Jugoslavia. Inoltre, l’appoggio alle truppe indipendentiste permise di giustificare l’operazione Allied Force, sferrando così il colpo di grazia alla già gravemente indebolita Jugoslavia. 


D’altro canto, la presenza di movimenti analoghi all’interno di paesi alleati non ha mai lasciato spazio a dubbi in merito alla radice terrorista delle organizzazioni, come nel caso dell’IRA.


IRA

La Irish Republican Army, o IRA, fu un gruppo che utilizzava la lotta armata a favore della causa irlandese contro i britannici. Assunse particolare rilevanza durante la Easter Rising, la Rivolta di Pasqua, del 1916 durante la quale un gruppo di 2 mila persone occupò dei punti nevralgici di Dublino proclamando l’indipendenza della Repubblica Irlandese dalla Gran Bretagna. La ribellione armata rappresentò un momento cruciale nel cammino verso l’indipendenza irlandese, pur non riscuotendo successo sul piano militare. 


La rivolta infatti permise al partito nazionalista Sinn Féin di ottenere la maggioranza alle elezioni nazionali del 1918 rifiutandosi di sedersi a Westminster. Il 21 gennaio 1919 i deputati del partito si dichiararono parlamento indipendente. La proclamazione rappresentò il casus belli della guerra d’indipendenza, condotta dall’Irish Republican Army. Tale associazione discendeva dagli Irish Volunteers, un gruppo di nazionalisti fondato in risposta agli unionisti Ulster Volunteers del 1912 il cui obiettivo era impedire l’autogoverno dell’Irlanda.


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La guerra d’indipendenza si concluse con la firma del trattato anglo-irlandese nel 1921. In forza di tale trattato si stabilì la creazione dello Stato Libero d’Irlanda, e dell’Irlanda del Nord, ancora parte della corona britannica. La ratifica di tale trattato divise l’IRA: mentre una parte, riconoscendolo, fondò il nucleo dell’esercito legittimo della repubblica, un’altra parte rigettò la validità del trattato.


PIRA

Tuttavia, la questione irlandese era tutt’altro che risolta. Le pressioni della corona britannica unite alla necessità di difendere i cattolici irlandesi residenti in Irlanda del Nord alimentarono le tensioni. Alla fine degli anni ‘60 vi fu lo scoppio dei Troubles, un conflitto settario tra la comunità cattolica dell’Irlanda del Nord, con idee nazionaliste e repubblicane, contro i protestanti dell’Ulster, unionisti verso la corona. La gestione degli attacchi verso i quartieri cattolici di Belfast nell’agosto 1969 da parte della leadership dell’IRA portò ad una scissione interna e alla formazione della Provisional IRA (PIRA). Iniziò un periodo segnato da vere e proprie offensive militari contro le truppe britanniche e contro i cosiddetti “obiettivi economici” come pub, ristoranti e fabbriche. Naturalmente, la definizione “economica” di tali luoghi era utile a distogliere l’attenzione sulle vittime civili che tali attacchi avrebbero provocato, soffermandosi solo sul danno inflitto ai britannici. Ciò contribuì a rendere l’Irlanda del nord il territorio più militarizzato dell’Europa Occidentale.


Il 1972 si aprì con una delle stragi più violente per esito e per modalità della lotta armata britannico-irlandese. Il 30 gennaio di quell’anno, durante una marcia di protesta pacifica contro l’Operazione Demetrius, che aveva visto l’internamento senza processo di cittadini irlandesi sospettati di terrorismo, i soldati del primo battaglione del reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico aprì il fuoco sulla folla disarmata colpendo 26 civili e uccidendone 14. Molti furono colpiti durante la cura, altri mentre prestavano soccorso ai feriti. Altri ancora vennero colpiti da schegge di proiettili, proiettili di gomma, colpi di manganello o ancora investiti da veicoli militari. Tale evento viene popolarmente ricordato come Bloody Sunday, rimasto impresso nella cultura irlandese tanto da aver ispirato la canzone Sunday Bloody Sunday degli U2 che inizia proprio con “I can’t believe the news today”.


Dopo una breve tregua iniziata nel 1974, la PIRA si riorganizzò scatenando un attacco al cugino della regina del Regno Unito, Lord Louis Mountbatten, la cui barca fu fatta saltare in aria uccidendolo.


La situazione durò fino al 1981, quando Bobby Sands, membro della PIRA prigioniero del carcere di Long Kesh, intraprese uno sciopero della fame per ottenere lo status di “prigioniero politico”, abolito dal governo britannici nel 1976, il che gli avrebbe garantito una serie di benefici oltre a far assumere un significato diverso alla sua prigionia: non più un criminale, ma un uomo rinchiuso perché avverso al governo britannico. Tale digiuno lo uccise 66 giorni dopo. La stessa sorte toccò ad altri 9 detenuti. Questa situazione portò ad un’escalation che culminò con un grave attentato che rischiò di uccidere Margareth Thatcher, allora primo ministro del governo britannico. Persero la vita 5 persone e 30 ne rimasero ferite. 


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A sottolineare il clima di tensione, l’IRA dichiarò “Oggi siamo stati sfortunati, ma ricordate: a noi basta essere fortunati una volta, mentre voi dovrete essere fortunati sempre”. Chiaramente, la situazione era insostenibile. Né la PIRA né l’esercito Britannico erano in grado di vincere militarmente. Ciò portò, il 19 luglio 1997 all’annuncio di una tregua promossa dal neo-eletto governo laburista di Tony Blair. La tregua portò ad un’ulteriore scissione dalla PIRA di un gruppo contrario alla sospensione delle ostilità, noto con il nome di Real IRA e responsabile della strage di Omagh, che uccise 29 persone.


Il 10 aprile 1998 venne siglato l’accordo del Venerdì Santo, che prevedeva la costituzione di un governo nord-irlandese misto tra protestanti e cattolici in proporzione ai risultati elettorali e la liberazione entro 3 anni di tutti i militanti appartenenti alle organizzazioni che avevano sottoscritto l’accordo. In seguito, nel 2005, la PIRA si è detta pronta a distruggere tutte le sue armi e di voler usare mezzi esclusivamente pacifico per perseguire il suo obiettivo, ovvero la riunificazione delle sei contee del Nord con la Repubblica d’Irlanda.


La travagliata storia dell’IRA e del rapporto con il governo britannico permette di evidenziare come un movimento che lotta per il riconoscimento della propria indipendenza politica e culturale possa facilmente sfociare nel terrorismo, nonché utilizzarlo come mezzo. Tuttavia, le differenze con conclamati gruppi terroristici puri come Hamas sono evidenti: l’IRA nasce infatti in un territorio colonizzato (come abbiamo visto ciò è conditio sine qua non per la definizione di un movimento di liberazione nazionale), con l’obiettivo di costruire un proprio paese anziché di distruggerne un altro. 


La lotta armata della PIRA è stata dunque causa di svariate vittime e anni di violenza e terrore; tuttavia, qualora questa non si fosse manifestata, le angherie britanniche sarebbero proseguite indisturbate: prima degli anni ‘70, infatti, si poteva assistere ad una sistematica e continua discriminazione contro i cattolici irlandesi; inoltre, nonostante le prime proteste fossero pacifiche, vennero comunque represse violentemente dal governo britannico. La situazione di lotta continua pose le basi per il Good Friday Agreement, grazie al quale la PIRA cessò le ostilità in cambio di un potere reale.


La considerazione dell’IRA

Nonostante il Regno Unito, alla fine degli anni ‘90, fu la seconda nazione dopo gli USA a rimuovere l’UÇK dalla lista delle organizzazioni terroristiche, per quanto riguarda l’IRA e la PIRA si mosse diversamente continuando a considerarla in tutto e per tutto un’organizzazione terroristica.

Il doppio standard discende evidentemente dagli interessi della nazione, da una parte comuni con l’UÇK nella debilitazione serbo-jugoslava, dall’altra contrastanti con la PIRA nella riunificazione irlandese.


È inoltre interessante il comportamento degli Stati Uniti, che ufficialmente riconobbero la PIRA come organizzazione che compie atti terroristici seppur non un’organizzazione terroristica in sé per sé. Quest’ambiguità fu principalmente dovuta alla diaspora irlandese negli USA, particolarmente influente che assumeva rilevanza soprattutto in materia di consensi elettorali. Pertanto, gli attentati compiuti al di fuori dell’isola irlandese venivano facilmente etichettati come atti terroristici, mentre quelli compiuti su suolo irlandese erano considerati lotta per la liberazione.


Quando i terroristi eravamo noi. 

Come disse Hermann Göring “La storia la scrivono i vincitori”. Così, in base all’esito della lotta armata, un combattente può diventare il più lodevole dei freedom fighter o il più sanguinario dei terroristi. 


È proprio la storia contemporanea italiana ad offrirne degli esempi. Il patriota Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovine Italia, fu promotore di attentati, insurrezioni e omicidi politici, come la rivolta di Genova del 1834 o l’attentato a Napoleone III del 1858. Fu proprio lui a dichiarare apertamente che

“il pugnale è sacro quando serve a liberare la patria”. 


Fu lui a formare le generazioni di irredentisti successive, da Garibaldi ai fratelli Bandiera. Il buon esito dell’unità italiana ci restituisce quindi un Mazzini eroe visionario, che per primo immaginò un’Italia unita e intesa come stato di liberi e uguali.

Ma se a vincere fossero stati i singoli regni, se Garibaldi fosse stato sconfitto a Marsala e Camillo Benso messo alla gogna per aver finanziato tale operazione, oggi Mazzini sarebbe considerato un insurrezionalista che ha sfruttato il terrore e la violenza per perseguire una sua idea. 


Terrorismo moderno

La contemporaneità che viviamo è segnata dalla presenza di gruppi che hanno vissuto su questa linea sottile, assumendo di qua la conformazione di un movimento irredentista, di là quella di un movimento terrorista. L’esempio più attuale è proprio Hamas, l’organizzazione che dai primi anni 2000 amministra la Striscia di Gaza e che sarebbe ora impegnata nella lotta per l’indipendenza palestinese contro lo Stato di Israele. Tuttavia, è riconosciuta come organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e altri alleati. Tale riconoscimento discende innanzitutto dalle modalità utilizzate da Hamas nel perseguire il suo obiettivo: l’uso sistematico della violenza contro i civili, siano essi israeliani (nel caso degli attentati) o anche palestinesi stessi (nel caso del posizionamento delle armi e delle basi in zone nevralgiche della striscia, rendendo la popolazione uno scudo umano).

A questo si aggiungono i legami con altre organizzazioni, come Hezbollah, anch’esse ritenute terroristiche e accomunate da strategie fondate sull’intimidazione armata. Nello specifico, Hezbollah è facilmente individuabile come organizzazione terrorista in quanto utilizza la violenza per perseguire i suoi obiettivi, che esulano dall’indipendenza e dal riconoscimento di una popolazione. Mentre Hamas ancora potrebbe giostrarsi in quest’ambiguità, Hezbollah non può; pertanto, il legame di queste due organizzazioni le qualifica in egual maniera. 


Inoltre, Hamas dal 2007 ha il monopolio amministrativo sulla Striscia: da quel momento, ha iniziato un processo di repressione del dissenso sia impedendo nuove elezioni sia ostacolando o neutralizzando gli oppositori. Questa fattispecie la rende più simile ad un regime autoritario armato che a un movimento che ha come obiettivo l’indipendenza e l’autodeterminazione. 


Tornando a prendere gli attentatori di via Rasella come campione dell’ambiguità terroristico-liberatista, l’azione partigiana si rivolse contro uno squadrone nazista, senza il coinvolgimento (o comunque la volontà di coinvolgimento) della popolazione civile. Al contrario, gli attentati in Israele (non solo del 7 ottobre) hanno avuto come principali obiettivi i civili. 


Inoltre, la Resistenza italiana era caratterizzata da eterogeneità: coinvolgeva chiunque si opponesse al regime fascista, in quanto l’obiettivo era ottenere una ritrovata libertà. Al contrario, Hamas si è proposto come alternativa integralista all’OLP, concentrandosi maggiormente sulla distruzione di Israele che sulla creazione di uno Stato di Palestina. 


Conclusioni

In conclusione, la strategia del terrore e della violenza, utilizzata nei confronti dei civili disarmati rappresenta, da parte di chi ne fa uso, una violazione del diritto internazionale e un

crimine di guerra. Rimane tuttavia interessante analizzare come questa da sola non basti ad

etichettare come terrorista un gruppo organizzato. La definizione di terrorismo rimane dunque sempre condizionata dal punto di vista politico e dall’esito della lotta armata: ciò che

per alcuni è liberazione, per altri è terrore.

 
 
 

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