L'egemonia culturale
- Alessandro Morelli
- 22 gen
- Tempo di lettura: 4 min
L'ossessione della destra meloniana.
L’egemonia culturale è parola che dal giorno dell’insediamento del governo Meloni è entrata fortemente nel dibattito pubblico, e viene tirata in ballo dalla destra ogni qual volta vengano criticate le scelte o le dichiarazioni del ministro della Cultura o dell’Istruzione. E’ appunto notizia delle ultime settimane l’intervista del ministro Valditara in cui spiega le nuove indicazioni fornite dal MIUR sui programmi scolastici: Dal latino (opzionale) alle medie, alla Bibbia e le poesie a memoria dalle elementari, passando per l’eliminazione della Geostoria per concentrarsi di più sulla storia italiana e occidentale. La parola d’ordine è una sola, “tradizione”.
Una ricerca di tradizione che rischia di passare per inutile ossessione: non saranno infatti qualche ora di latino o le poesie imparate a memoria a sopperire alle gravi mancanze strutturali della scuola italiana. Ma non intendo indagare i problemi della scuola qui; piuttosto vorrei approfondire l’evidente ossessione della destra italiana per l’egemonia culturale.

Ma cos’è esattamente questa egemonia culturale?
In formula: l'egemonia culturale è un concetto che indica le varie forme di “dominio” culturale e/o di “direzione intellettuale e morale” da parte di un gruppo o di una classe che sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. Il concetto fu ideato da Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano, per spiegare la mancata rivoluzione proletaria predetta da Marx: secondo Gramsci la borghesia aveva imposto sui lavoratori un modello culturale e ideologico dominante, tramite la scuola e i mezzi di comunicazione, che avevano portato il proletariato ad identificarsi proprio con ideali borghesi come l’individualismo, il consumismo e il nazionalismo (diametralmente opposti al pensiero comunista) e a rinunciare alla rivoluzione. Gramsci continua la sua analisi aggiungendo che per combattere quest’egemonia culturale sono necessari gli intellettuali “tradizionali”, liberi da essa e che si oppongano agli intellettuali “organici”, quelli collegati organicamente alla classe dominante che permettano la guida ideologica e culturale. Questi sono al servizio dell’egemone e ne giustificano ed esaltano il potere a cui essi si sentono associati e di cui godono i vantaggi.
Perché il concetto è tanto attuale?
La destra quindi, come Gramsci con la borghesia, accusa la sinistra di aver occupato tutti i luoghi di cultura istituzionali e non, come la televisione di stato e la scuola, cinema, teatri e case editrici. Con la vittoria alle urne quindi la destra ha promesso di smantellare questo sistema, come? Replicando quello di cui ha accusato la sinistra: occupando tutti i ruoli apicali della cultura nel paese, utilizzando, come prescritto da Gramsci, intellettuali “organici” e attaccando/censurando gli intellettuali avversi. Per quanto riguarda le nomine, sono note quelle controverse che hanno contraddistinto il mandato del ministro Sangiuliano, di cui 18 firmate qualche ora prima delle sue dimissioni, che sembrano mosse più da un’affiliazione politica che dal merito accademico dei candidati (Loyalty over quality, ne abbiamo parlato in un articolo precedente).

Contro gli intellettuali tradizionali: Il caso Scurati.

Tra i luoghi occupati dal nuovo governo, invece, c’è soprattutto la RAI (o TeleMeloni come ribattezzata dalle opposizioni) e in particolare un evento ha smosso l’opinione pubblica, la cancellazione del monologo di Antonio Scurati sul valore del 25 aprile che lo scrittore avrebbe dovuto recitare al programma “Chesarà”, allora condotto da Serena Bortone, su Rai3. Il caso è emblematico della postura del governo nei confronti della cultura e in particolare degli intellettuali “tradizionali”: In seguito alla cancellazione si è alzato un polverone con i dirigenti RAI, accusati di censura, che hanno difeso la scelta adducendo motivazioni economiche. Motivazioni economiche citate da Giorgia Meloni in persona in un post su X, in cui il primo ministro attacca l’autore di “M. il figlio del secolo” per aver rifiutato 1800 euro offerti dall’azienda e pubblica l’intervento con «chi è sempre stato ostracizzato e censurato io dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno». La versione della RAI, supportata da Meloni, sembra però essere in contraddizione con la comunicazione interna al polo televisivo riportata da Repubblica in cui vengono citati “motivi editoriali” dietro l’annullamento dell’intervento e gli stessi Scurati e Bortone, che alla fine leggerà personalmente il monologo in trasmissione, confermano che l’accordo era già concluso. Ed è proprio qui che si rivela la debolezza culturale della destra odierna; in queste azioni si delinea un complesso di inferiorità nei confronti della sinistra e in generale dell’opposizione. Il caso Scurati non è infatti unico, gli esponenti di governo hanno più volte criticato “i professoroni di sinistra” non sulle idee, ma sui guadagni economici derivanti dalla loro arte. Gli intellettuali avversi vengono accusati di guadagnare senza merito o addirittura “infamando” la propria terra come nel caso dell’autore di Gomorra, Roberto Saviano. Proprio il fatto che ad attaccarli siano esponenti di governo e non intellettuali sottolinea il deserto culturale della destra che annovera tra le sue fila il solo intellettuale pienamente “organico” Italo Bocchino che, per rimanere in tema, sull’egemonia culturale della sinistra ha scritto un libro “Perché l'Italia è di destra: Contro le bugie della sinistra”. Il fatto che gli intellettuali, per definizione privati cittadini, vengano attaccati da esponenti del governo, detentori del potere, stride con gli ideali democratici della nostra Repubblica. La verità però è che allo stato attuale non esiste nessuna egemonia culturale nè di destra nè di sinistra, l’unica egemone in questo paese è l’ignoranza che proprio il MIUR dovrebbe arginare. Ma se al centro del dibattito sulla scuola c’è l’introduzione del latino alle medie e non il tasso di abbandono scolastico (10,5%) non si andrà troppo lontano, anzi, sarà un continuo turbine verso il basso e la colpa di ciò è di tutta la classe politica, sinistra compresa.
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