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Le criticità della transizione "democratica" in Siria

  • Elisa Gallo
  • 10 nov
  • Tempo di lettura: 7 min

Il 4 novembre il cancelliere Friedrich Merz ha sostenuto che la fine della guerra civile a seguito della caduta del regime di Assad, ha determinato il venir meno delle condizioni necessarie che giustificano le richieste di asilo siriane in Germania.

Ha dunque annunciato di voler avviare i rimpatri di chi aveva ottenuto protezione temporanea, in quanto la partecipazione volontaria della società siriana si rivela fondamentale nella transizione democratica in corso e in caso di rifiuto si procederà all'espulsione. Le tensioni interne alla maggioranza di governo sono sorte a seguito della visita in Siria del ministro degli Esteri Johann Wadephul, dove ha avuto modo di verificare le condizioni disastrose e disumane nelle quali versa un quartiere di Damasco a causa dei conflitti, definendo come "molto limitate" le possibilità di un ritorno in patria nel breve periodo. Della stessa opinione è il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, il quale si è espresso a favore di una gestione più cauta della questione e che non trascuri la volontà della popolazione siriana residente in Germania.

Diversamente, un'altra ala del partito della CDU (sostenitrice di una politica migratoria più rigida) e il ministro dell'Interno Alexander Dobrindt ritengono imprescindibile procedere all'espulsione immediata dei criminali verso la Siria e l'Afghanistan. Nonostante le divergenze, il partito di maggioranza ha tentato di presentarsi come un fronte unito, ribadendo la netta distinzione tra i rimpatri volontari dei rifugiati e l'espulsione dei criminali siriani.

Ad oggi si stima che circa un milione di siriani viva in Germania, la maggior parte dei quali è fuggita tra il 2015 e il 2016 a seguito dello scoppio della guerra civile che dal 2011 ha attraversato e devastato il paese per tredici anni. 


Ma qual è la situazione in Siria?


Dal 2011 la Siria è stata attraversata da una guerra civile che ha devastato il paese per tredici anni. Scoppiata inizialmente come una rivolta contro il governo autoritario di Bashar al-Assad, il dissenso è rapidamente degenerato in una guerra civile dove l’esercito di Assad si è scontrato con le forze di opposizione raggruppate nell’Esercito siriano libero (ESL). 

Dopo un periodo di bassa intensità, il movimento jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha sfruttato le distrazioni/difficoltà degli sponsor principali del regime (Russia, Hezbollah e Iran) e ha marciato su Damasco l’8 dicembre 2024. Il leader di quel movimento è l'attuale presidente ad interim, Abu Mohammed Al-Jolani.


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A seguito della caduta del regime di Assad, si è aperta una transizione “democratica” della durata di cinque anni sotto la guida del nuovo presidente ad interim Ahmad al-Shara‘, che ha abbandonato lo pseudonimo da battaglia "Al-Jolani" e ha intrapreso un radicale cambio di immagine, durante il quale verrà elaborata una nuova Costituzione provvisoria e si svolgeranno nuove elezioni. 

Il 29 gennaio 2025 il presidente ha pronunciato il “discorso della vittoria”, nel quale ha ripercorso i principali obiettivi della prossima fase politica: costruire un nuovo ordine fondato sull’unità nazionale e la pace civile, dotare la Siria di istituzioni solide e un sistema economico forte, e infine divenire parte attiva della compagine regionale e internazionale. Parallelamente al discorso tenuto dal presidente al-Shara’, sono stati emanati tre provvedimenti con i quali è stato sciolto il parlamento, si è proceduto alla disgregazione delle fazioni anti-Assad e del partito Ba‘th (a sostegno del regime di Assad) ed è stato nominato al-Shara‘ presidente della Repubblica ad interim. 


Le prime criticità emergono a partire dal 25 febbraio, a seguito dell’organizzazione della “Conferenza per il dialogo nazionale”, dove la società civile, politici e intellettuali siriani hanno proposto soluzioni alle problematiche più urgenti del paese. Tuttavia, sono state mosse accuse circa l’inconcludenza delle misure prospettate e l’esclusione di gran parte della società civile siriana a causa dello scarso preavviso con il quale è stata convocata la Conferenza, sollevando dubbi a livello internazionale circa la strumentalità di questa come mezzo di legittimazione della transizione a livello internazionale. 


La nuova bandiera siriana
La nuova bandiera siriana

Nel marzo del 2025 è stata promulgata la Costituzione siriana, che rimarrà in vigore per cinque anni. 

Tra i punti principali, si evidenzia il ruolo del diritto islamico come “fonte principale” della legislazione, la tutela della libertà di stampa e di espressione, delle comunità religiose ed etniche e l’abolizione della Corte Costituzionale, successivamente ricostituita e formata da sette membri nominati da al-Shara’. La Costituzione prevede inoltre l’istituzione dell’Assemblea del Popolo, come organo legislativo, in carica per 30 mesi fino all’adozione di una Costituzione permanente.

Il 29 marzo è stato infine nominato al-Shara’ e il nuovo governo costituito da 23 membri (di cui nove indipendenti, sette facenti parte del Governo di salvezza nazionale di Idlib, e cinque provenienti dal governo del regime di Assad prima del 2011). A tale riguardo, l’assenza della figura del primo ministro, rischia di ampliare i poteri attribuiti al presidente.


A seguito degli evidenti (seppur di facciata) sforzi democratici siriani, l’Unione europea ha inoltre sospeso le sanzioni economiche al fine di agevolare la ripresa economica del paese.

Inoltre al-Shara’ il 10 dicembre ha incontrato il presidente Donald Trump alla Casa Bianca, quest'ultimo aveva già elogiato il presidente siriano definendolo "Tough guy", segnando un punto di svolta storico nelle relazioni diplomatiche siriane. I colloqui che si terranno puntano a garantire l’adesione della Siria ad una coalizione internazionale anti-Isis guidata dagli Stati Uniti.


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Il 5 ottobre 2025 si sono tenute le prime elezioni parlamentari dalla caduta del regime di Assad. I seggi parlamentari disponibili erano 210, di cui 70 nominati direttamente dal presidente ad interim, mentre i restanti 140 attribuiti tramite una votazione indiretta gestita da 7.000 grandi elettori selezionati dal governo. Tuttavia, circa 30 seggi sono rimasti vacanti in quanto le elezioni sono state temporaneamente rinviate nella regione di Suweyda (a luglio e ad agosto del 2025 è stata infatti luogo di scontri tra le comunità druse e beduine) e le province a maggioranza curda di Hasakah, Raqqa e Deir ez Zor.

Un Consiglio supremo si è inoltre occupato di selezionare le candidature iniziali, sebbene sia costituito da ex esponenti del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) del quale lo stesso presidente ha preso parte.

L’esito del voto conferma un’Assemblea del Popolo costituita in larga parte da uomini musulmani sunniti, con solamente sei donne elette e dieci seggi assegnati alle minoranze etniche e religiose. 

L’iter selettivo seguito e l’insufficiente rappresentazione delle minoranze, sollevano tuttavia delle perplessità circa la capacità dell’organo legislativo eletto di esprimere pienamente le istanze delle varie componenti sociali.


In tale contesto, risulta fondamentale evidenziare che la transizione ha avuto come principale risultato la concentrazione di ampi poteri esecutivi e costituenti nelle mani del capo di Stato. In primo luogo, ad al-Shara’ compete la nomina dei membri della Corte Costituzionale provvisoria, dei presidenti dei tribunali superiori, del Consiglio elettorale provvisorio, nonché dei governatori regionali. Sebbene la magistratura sia formalmente “indipendente”, rimane tuttavia sottoposta al potere esecutivo, senza alcuna garanzia di separazione dei poteri.

La maggior parte dei membri dell’organo legislativo (l’Assemblea del Popolo) è nominata direttamente o indirettamente dal presidente, senza che questo possa approvare o sfiduciare i ministri o il governo, dunque in assenza di un parlamento pienamente funzionante ad al-Shara’ compete la ratifica di decreti con forza di legge. Conserva inoltre la facoltà di dichiarare lo stato di emergenza previa approvazione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale (di cui nomina i membri) e nominare e revocare ministri, vice-ministri e vertici militari. Presiedendo il Consiglio dei ministri infine, accentra nelle proprie mani le funzioni di capo dello Stato e di capo del governo, in assenza della figura del primo ministro.

Si può dunque ben comprendere che le principali istituzioni risultano fortemente sottoposte all’autorità del presidente, alimentando il rischio di un abbattimento dei checks and balances. La mancata indipendenza della magistratura e la nomina di membri appartenenti al gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) delegittimano il processo di democratizzazione a livello internazionale e sollevano dubbi circa una continuità autoritaria del nuovo governo ad interim, prospettiva resa ancor più probabile dalla fragilità interna e dalle fratture sociali che attraversano il Paese.

 

Tra le cause principali dell’instabilità siriana, si rileva in primo luogo la profonda frammentazione socio-politica, specie con riferimento alle tensioni tra la fazione anti-Assad e quella alawita (minoranza di cui fanno parte la famiglia Assad e gli esponenti dell’establishment baathista). Significativo lo scontro del 6 marzo tra le milizie ostili al nuovo governo e la comunità sciita, che hanno visto la violenta repressione dell’esercito, il quale si è spesso abbandonato ad uccisioni e saccheggi delle proprietà alawite.


Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dalle tensioni nel territorio a maggioranza curda del Rojava, la cui zona nord orientale è controllata dalle Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda, che dalla caduta di Assad si sono spesso scontrare con quelle filo turche del Syrian National Army (Sna). 

Il 10 marzo il capo delle Sdf Mazloum Abdi e al-Shara’ hanno firmato una dichiarazione di intenti per il “reintegro” nell’esercito nazionale, in cambio della tutela delle minoranze etniche e religiose siriane, con particolare riguardo ai diritti sociali e politici della comunità curda. In questo modo il presidente ad interim può procedere alla consolidazione dello Stato siriano e Abdi può contare sul sostegno di Damasco nell’eventualità di attacchi turchi.


Alle tensioni territoriali si aggiunge un ulteriore vettore di destabilizzazione rappresentato dal rapporto tra la minoranza religiosa drusa e il governo centrale, che a febbraio hanno rischiato di degenerare in uno scontro regionale quando Israele ha offerto strumentalmente il proprio sostegno militare ai leader religiosi (shaykh) della minoranza sciita a seguito di scontri a fuoco a Jaramana (periferia di Damasco) tra le autorità locali e la comunità drusa. Analogamente alla dichiarazione d’intenti tra Abdi ed al-Shara’, si sono aperte le negoziazioni tra la comunità drusa di Dar‘a e Sweyda, tuttavia non ancora formalizzato a causa dei contrasti interni alla comunità.



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Il tentativo di introdurre istituzioni democratiche da parte del presidente al-Shara’ testimonia dunque la volontà di ricostruire un paese devastato da anni di violenza e oppressione politica, nella prospettiva di un nuovo ordine basato sul rispetto dei diritti umani e la partecipazione dei cittadini alla vita politica siriana. Tuttavia, alla luce del marginale coinvolgimento delle varie parti sociali, unitamente all’impostazione centralista del presidente ad interim, risulta improprio qualificare la transizione siriana come “democratica. Nel prossimo futuro risulta dunque plausibile ipotizzare un rafforzamento dell’orientamento già autoritario del governo, suscettibile di determinare un’ulteriore degenerazione e un ritorno alle misure sanzionatorie internazionali sospese con l’inizio del processo, le quali finirebbero per gravare su una popolazione già stremata dalla prolungata guerra civile e dal governo autocratico della famiglia al-Assad. La sfida principale, pertanto, consiste nel comprendere in che misura coinvolgere nel processo le varie fazioni politiche e sociali e come procedere a ridimensionare le prerogative presidenziali, al fine di scongiurare una democratizzazione di facciata dai risvolti autoritari e un’ulteriore degenerazione.

 
 
 

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