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Oltre i confini: i diritti dimenticati dei popoli indigeniIl caso dei Sami

  • Lorenzo Piccheri
  • 12 giu
  • Tempo di lettura: 8 min

Unici indigeni d’Europa in lotta per il riconoscimento internazionale e la tutela dell’identità culturale


Abitanti di una terra che precede le frontiere, che loro chiamano Sàpmi, mai diventata uno Stato. I Sami, unico gruppo indigeno riconosciuto in Europa, abitano i territori della Lapponia, unendo sotto un’unica bandiera Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia.


Cos’è una comunità indigena?

La parola indigeno porta inevitabilmente alla mente le immagini degli indiani d’America, che popolavano, prima delle grandi migrazioni europee, il continente americano. Sarebbe però un errore associare questo termine ai soli pellerossa.


Indigeno, infatti, descrive ogni popolo originariamente presente in un determinato luogo: secondo il rapporto Martinez Cobo, rilasciato dalle Nazioni Unite nel 1986, rientrano in questa definizione "I popoli che, avendo una continuità storica con le società pre-coloniali che si sono sviluppate nei loro territori, si considerano distinti da altri settori delle società che oggi predominano in quei territori o in parte di essi. Essi si auto-identificano come indigeni e desiderano conservare e trasmettere ai loro discendenti i loro territori ancestrali, e la loro identità etnica, culturale, sociale e legale". Alcuni esempi sono gli Inuit in Groenlandia, i Tuareg in Nord Africa o i Maori in Nuova Zelanda.


Eppure, ad oggi i popoli indigeni sono ovunque ridotti ad essere minoranze etniche nei loro paesi d’origine, anche in seguito a politiche vessatorie se non repressive, portate avanti nei decenni e nei secoli scorsi dai governi degli Stati sorti sulle terre di questi gruppi.


La storia e le tradizioni dei Sami

Stanziati tra i ghiacci artici, dove la lunga notte si alterna al lungo giorno, vivono i componenti dell’unico gruppo indigeno europeo riconosciuto: i Sami.

Le prime citazioni di questa popolazione risalgono agli scritti di Tacito del 98 d.C., in cui descrive un popolo chiamato dei “Fenni” come “persone che si fidano solo della punta della lancia, dormono in terra e vestono pelli di animale”. I Sami, infatti, sono una popolazione nomade insediatasi nella penisola scandinava già 9000 anni prima di Cristo, come testimoniato da varie pitture rupestri rinvenute. Testimonianze successive parlano di pastori di renne, pescatori e cacciatori, che abitavano in capanne trasportabili chiamate Kota o in tende chiamate Lavvu, come riportato nell’Historia de gentibus septentrionalibus, Storia delle genti settentrionali, di Olao Magno.

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L’arrivo dei vichinghi nella penisola spinse sempre più verso nord le popolazioni autoctone che abitavano la Scandinavia. Ad oggi, infatti, il territorio abitato dai Sami si concentra principalmente intorno al Napapijri, l’immaginaria linea geografica che segna l’ingresso nel circolo polare artico.


Parlano una lingua di derivazione ugrofinnica, come il Finlandese e l’Ungherese, composta da vari dialetti, e ad oggi sono circa 80 mila gli individui appartenenti a tale etnia, per la maggior parte presenti in Norvegia. Vivono principalmente di artigianato, caccia, pesca e allevamento, soprattutto delle renne. Sebbene oggi venga praticata sempre meno (si stima che solo il 10% della popolazione la sfrutti) la pastorizia della renna ha rappresentato una risorsa cruciale per questo popolo, sia come animale da traino per le slitte, utilizzate per spostarsi nella profonda neve invernale, sia come fonte di cibo e pelli per le kota o lavvu e gli abiti. L’allevamento delle renne segue un ciclo di 8 stagioni, presenti nella cultura Sami: l’inverno, chiamato Dàlvve, che va da Dicembre a Marzo; l’inizio della Primavera, chiamato Gidàdàlvve, da Marzo ad Aprile; l’inizio dell’estate, Gidàgiesse, Maggio e Giugno; Giesse, l’estate del sole di Mezzanotte, Luglio e Agosto; l’inizio dell’Autunno, Tjaktjagiesse, Agosto e Settembre; Tjaktka, l’autunno di Settembre e Ottobre, e infine l’inizio dell’inverno, Tjaktjadàlvve.


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Le loro abitudini, però, stanno subendo la forte influenza del cambiamento climatico: in un’intervista rilasciata a TV2000, la consigliera del presidente del Parlamento Sami finlandese Inka Saara Arttijeff ha denunciato le conseguenze devastanti della crisi climatica e come esse impattano la popolazione indigena. Secondo le sue parole, gli inverni negli ultimi 20 anni sono cambiati drasticamente: sono state registrate temperature fino a 20 gradi superiori alla media, il che ha complicato le attività di pastorizia. Durante il Tjaktjadàlvve e il Dàlvve, infatti, le renne sono lasciate libere di pascolare nelle riserve: la rarefazione degli episodi di glaciazione delle acque, nonché la maggior instabilità delle stesse, ne influenza la mobilità e con questa anche la nutrizione. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacci ha reso più appetibile lo sfruttamento delle risorse naturali presenti in quei territori, il che darebbe il via ad una spirale discendente che porterebbe alla rovina delle terre ancestrali dei Sami.


La spina nel fianco del pan-scandinavismo

Le tradizioni religiose Sami affondano le loro radici nello sciamanesimo e nell’aminismo: credevano infatti che gli spiriti vivessero negli elementi naturali e che tutto nella natura avesse una propria anima. Gli sciamani erano autori di riti propiziatori per prevedere il futuro attraverso l’utilizzo di tamburi magici. Era inoltre praticato il culto di alcuni tipi di rocce, che si credeva segnassero l’accesso all’aldilà.

A partire dalla seconda metà del ‘500, venne condotta una campagna di cristianizzazione delle popolazioni che abitavano la Sàpmi, durante la quale molti sciamani, a causa dei loro riti, vennero condannati a morire sul rogo. Nei secoli successivi venne inoltre imposto l’obbligo di assistere alla messa della domenica, che portò alla nascita di alcuni “villaggi domenicali” che ospitavano i partecipanti alle celebrazioni per il fine settimana, consentendo il pernottamento del sabato, in modo da spezzare il viaggio che separava la chiesa dai villaggi circostanti. Contestualmente, però, questa pratica facilitva il controllo dei presenti e, soprattutto, di coloro che si rifiutavano di partecipare, il che favorì le persecuzioni verso i Sami che si ostinavano a non convertirsi.


Sempre in Svezia venne promossa una sostituzione etnica a partire dall’emanazione del Proclama Lapp-mark del 1673, con il quale si concedevano grandi vantaggi ai coloni svedesi che si fossero installati al nord, cacciando i nativi fuori dalle loro terre.


Di fatto, i Sami erano considerati inferiori e arretrati e gli Stati si assunsero la “responsabilità di civilizzarli”. La chiave fu l’assimilazione di questi popoli alla lingua, alla cultura, ai valori e alla religione “scandinavi”, nell’ottica di un disegno pan-scandinavo che aveva preso sempre più piede a partire dal ’800. Di questo parla il film Sameblod, Sangue Sami, del 2016: una ragazza di 14 anni viene strappata dalla propria famiglia per essere mandata in una scuola svedese, nel tentativo di “civilizzarla”. Questa pratica veniva inoltre considerata un “onore” per la ragazza, vista come un’ingrata davanti alla possibilità di entrare a far parte della superiore razza scandinava.


Se già non bastasse, negli archivi dell’Università di Uppsala, in Svezia, si trovano 12 mila scatti di individui di cosiddetta “razza inferiore”: infatti, nel 1922, la Svezia anticipò la Germania nazista aprendo un centro statale per lo studio della razza. Gli scatti servivano a provare l’inferiorità della razza Sami di fronte a quella nordica. Questi studi portarono, dal 1922 al 1974, alla promozione di campagne di sterilizzazione volte a costruire un “Welfare State”, composto da popolazioni pure e perfette: vennero sterilizzate 62 mila persone perché giudicate ”ribelli, promiscue, di scarsa intelligenza o di sangue misto (appellativo con cui ci si riferiva ai Sami)”, come si legge in un articolo del 1997 del Washington Post.


Il riconoscimento internazionale

Con gli anni ‘80 iniziò il processo di riconoscimento internazionale delle culture indigene, di cui beneficiarono anche i Sami. Fu proprio lo studio di Martìnez Cobo a porre le basi per la definizione moderna di “popolo indigeno”, influenzando le normative successive. Nel 1989, infatti, venne adottata la Convenzione n. 169 dell’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, ratificata da 24 paesi. Ad oggi è l’unico trattato internazionale vincolante dedicato specificatamente ai popoli indigeni, che fornisce criteri generali per l’identificazione di popoli indigeni e tribali tra cui stile di vita tradizionale, cultura e modo di vivere differenti da altri segmenti della popolazione nazionale, e infine organizzazione, leggi e costumi tradizionali propri.


Il primo diritto fondamentale sancito dalla Convenzione è il diritto alla non-discriminazione, stabilendo che i popoli possono godere pienamente dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza alcuna discriminazione. Afferma altresì che il loro stile di vita, il diritto consuetudinario, le istituzioni e la loro organizzazione costituiscono la loro identità, che li differenzia dalla società dominante, auspicandone la protezione. Inoltre obbliga gli Stati ad informare i nativi sulle questioni che li riguardano direttamente, permettendogli di partecipare liberamente ai vari livelli di formulazione delle misure.


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Tale convenzione è stata però ratificata solamente dalla Norvegia, la quale già si era dotata di una propria legge, favorevole ai Sami. Nonostante la mancata ratifica di Svezia, Finlandia e Russia, i Sami ottengono ulteriore riconoscimento internazionale con la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni UNDRIP del 2007, che sancisce l’auto-identificazione, ovvero il riconoscersi parte di un gruppo indigeno, come diritto fondamentale. Conferisce inoltre diritti collettivi più ampi, garantendo l’autodeterminazione, il possesso dei territori ancestrali e il controllo sulle risorse naturali. Pur non essendo giuridicamente vincolante, costituisce un quadro di riferimento etico e politico verso tutti i membri delle Nazioni Unite.


Inoltre, a livello europeo, nel 1992 il Consiglio d’Europa emana la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, trattato che spinse la Norvegia a garantire l’uso pubblico e ufficiale della lingua Sami. Tre anni dopo, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, sempre del Consiglio d’Europa, pur non facendo distinzione tra minoranze e nativi, garantisce maggiori diritti culturali, linguistici e partecipazione alla vita pubblica. Infine, il 18 gennaio 2023 il Parlamento Europeo approva una risoluzione che riconosce i Sami come popolo indigeno dell’UE, chiedendo agli Stati membri di conformarsi agli standard di UNDRIP.


La rappresentanza politica

Ad oggi, le persone appartenenti a quest’etnia possono contare su una rappresentanza politica in ognuno degli Stati di cui fanno parte.:

In Norvegia il Parlamento Sami conta 39 membri e seppur non abbia potere legislativo vincolante agisce come organo consultivo su questioni riguardanti lingua, cultura e diritti territoriali.

Quello finlandese è composto da 21 membri e rappresenta i Sami davanti al governo finlandese, il quale è obbligato a consultare la rappresentanza per questioni concernenti il gruppo etnico.

Sono 31 i membri del parlamento svedese, che ha responsabilità specifiche nella gestione della cultura sami, seppur debba conformarsi alle leggi nazionali svedesi.

Infine, in Russia, il parlamento fondato nel 2010 opera principalmente come organo rappresentativo, non essendo ufficialmente riconosciuto dal governo russo.

Inoltre, i parlamenti sami di Norvegia, Svezia e Finlandia collaborano attraverso il Consiglio Parlamentare Sami, rappresentando gli interessi della popolazione a livello internazionale, incluso il Consiglio Artico.


Al di fuori di questi parlamenti è esposta la loro bandiera, alzata in occasione delle festività Sami. La bandiera riporta i colori rosso, giallo, verde e blu. Questi colori sono comunemente usati sul gákti, il loro costume tradizionale. La larghezza delle strisce indica la distribuzione della popolazione Sami nei quattro stati tra cui sono divisi: il rosso per la Svezia, il verde per la Finlandia, il giallo per la Russia e il blu per la Norvegia che ospita la maggior parte della popolazione. Il colore indica anche gli elementi naturali a cui sono legati. Il cerchio simboleggia il Sole (mezzo cerchio rosso) e la Luna (il mezzo cerchio blu), elemento che compare anche su alcuni tamburi sciamani nonché in vari miti.


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Oltre alla rappresentanza, i Sami possono contare su una serie di tutele legislative sia a livello nazionale che internazionale. La loro lingua, infatti, in forza del Sami Language Act, è diventata ufficiale in varie contee della penisola scandinava, riconoscendo così il diritto di utilizzarla per i servizi governativi e non.


Il riconoscimento dello status di indigeni ha inoltre sancito il diritto di usufruire di terre a loro riservate per il pascolo e un monopolio sull’allevamento di renne. Contro questi privilegi, però, si è scagliato il partito svedese di destra Sverigedemokraterna, critico verso l’apparente favoritismo che conferisce dei vantaggi ad una particolare etnia. Se da una parte ciò può non sembrare così irragionevole, dall’altra è bene ricordare che l’ex segretario di tale partito abbia sostenuto in un post su Facebook che le minoranze etniche non hanno ruoli di rilievo in Svezia in quanto non sono effettivamente svedesi, riferendosi non solo ai Sami ma anche agli ebrei e agli immigrati.


Anche a causa delle persecuzioni subite, oggi sono pochi i Sami che mantengono intatte le tradizioni nomadi e pastorizie, mentre una buona parte è integrata nella vita lavorativa del proprio Stato di appartenenza. Ma la cultura e la storia Sami continuano ad influenzare e ad interessare chiunque si trovi a visitare le terre della Lapponia.




 
 
 

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