Taiwan: l’isola ribelle
- Marianna Mele
- 4 giorni fa
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Poche settimane fa Sanae Takaichi, la “lady di ferro” attuale premier giapponese, ha dichiarato in Parlamento che se la Repubblica Popolare Cinese lanciasse un attacco militare sull’Isola di Taiwan, utilizzando la forza contro le truppe americane, provocherebbe una minaccia esistenziale per il Giappone. Questo ha provocato la risposta “piccata” di Pechino che non si è limitata a consigliare ai propri cittadini di “evitare che si rechino in Giappone per la loro sicurezza” ma ha addirittura interrotto l’importazione di prodotti ittici dal paese del Sol Levante. Per non parlare della dichiarazione di Xue Jian, il console generale della Cina a Osaka, che in un post riguardo le dichiarazioni di Takaichi sui social media ha scritto: «La testa schifosa che si è esposta di sua iniziativa dovrà essere decapitata senza esitazione»
Com’è possibile che delle semplici dichiarazioni di Takaichi su Taiwan abbiano provocato delle tensioni così marcate? Quali sono le ragioni per cui il Giappone considera possibile il coinvolgimento delle truppe americane nella regione?

Per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro e scoprire la storia della Repubblica di Taiwan, l’isola ribelle.
Fino agli anni '70 la Repubblica di Taiwan era riconosciuta dalla maggioranza degli Stati come Repubblica di Cina, al contrario il regime comunista di Pechino era ritenuto illegittimo. Oggi, nonostante le rivendicazioni locali, non tutti gli Stati ne riconoscono l’indipendenza, compresa. Con l’innovazione militare cinese, mostrata al mondo nella parata militare dello scorso settembre, e le varie pressioni USA nella regione (aumentate dalla possibilità di siglare un accordo di pace in Ucraina) fra non molto tempo tutto il mondo tornerà a volgere lo sguardo verso quell’Isola spesso abbandonata dagli occidentali, tranne quando ritenuta utile per motivi strategici a causa della sua posizione nei traffici marittimi.
L’isola di Formosa, denominata in questo modo dai Portoghesi, si trova in Asia Orientale e dista 135 km dalla costa Cinese.
Situata tra il Mar Cinese Orientale e quello Occidentale, la sua posizione pone l’Isola al centro di quella che i cinesi chiamano “la cintura primaria di isole”, una vera e propria limitazione verso un’espansione profonda Cinese nell’Oceano Pacifico e di conseguenza una limitazione al suo potere talassocratico.
Ma per quale motivo un’isola non particolarmente grande o potente è così fondamentale per le due superpotenze mondiali?
Da scalo commerciale Europeo a Terra contesa
Tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, Taiwan fu un avamposto appetibile dal punto di vista commerciale per gli esploratori europei. A causa della sua posizione geografica Spagnoli, Portoghesi, Olandesi la utilizzarono fondandovi le più antiche città Taiwanesi. Alla fine del 1600 l’Isola venne presa sotto il controllo della dinastia Qing che iniziò a colonizzare gradualmente l’Isola, rappresentando uno dei primi motivi delle future pretese cinesi. Nel 1887 la Cina Imperiale stabilì la provincia di Fujian Taiwan, allontanando l’Isola dalle mire di altre potenze mondiali.
Nel 1895 l’isola di Formosa passò all’impero Giapponese con il trattato dello Shimonoseki. Questa rimase sotto il potere nipponico fino alla seconda guerra mondiale, quando le due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki segnarono la totale sconfitta dell’impero di Hirohito. Successivamente venne consegnata alla Cina per mano degli alleati, secondo le direttive della dichiarazione del Cairo del 1943.
La Guerra civile e la nascita della disputa
Dopo la fine dell’Impero Qing nel 1912 nacque la Repubblica di Cina, per mano di Sun Yat-Sen. Egli istituì un governo provvisorio e fondò nel 1919 il partito nazionalista cinese del Kuomintang (KMT), ispirato ai valori occidentali, che troverà successivamente in Chiang Kai-Shek il proprio leader politico. La debolezza del governo portò ad una sanguinosa guerra civile che divise il paese tra governanti e signori della guerra.
Nel 1928, i signori della guerra che controllavano la Cina settentrionale furono sconfitti dalla “Spedizione del Nord”, lanciata nel 1926 dal Kuomintang. Con la nascita del Partito Comunista Cinese in seguito al movimento studentesco del 4 maggio e alla sofferenza diffusa dopo la grande guerra, lo scontro si sposta tra il PCC e il KMT, aprendo le porte a più di 20 anni di scontri tra i due.
Durante la tragica occupazione giapponese nel 1937 i due movimenti sopirono gli scontri e fecero momentaneamente fronte comune per poi riprendere gli scontri nel 1946. La guerra civile finì nel 1949: sconfitto definitivamente dai Comunisti, il governo nazionalista si ritirò a Taiwan, unico territorio ancora sotto giurisdizione dell’originaria Repubblica di Cina. La Rivoluzione culturale di Mao portò a un cambiamento radicale della Cina: le vecchie abitudini e la vecchia cultura furono sradicate dalla società cinese. A Taipei, l’arrivo di Chang Kai Shek incrementò le divergenze culturali con la Cina di Mao, anche grazie al passato giapponese dell’Isola che tutt'oggi viene ricordato dalle generazioni più anziane come un periodo complessivamente positivo.
Perché Mao non riprese Taiwan dopo la guerra civile? L’appoggio USA al regime di Chiang Kai-Shek
Prima di tutto la Cina di Mao dovette fare i conti con due questioni rimaste irrisolte: la questione agraria, una delle basi della rivoluzione maoista, e la formazione di uno Stato a base socialista dove, a differenza dell'URSS o dei paesi europei, non esisteva un partito socialista con basi ottocentesche.
In secondo luogo le riserve auree nazionali cinesi e ciò che rimaneva dell’aviazione e della marina vennero portate dai Nazionalisti a Taiwan. In questo modo, essi ampliarono il proprio potere, anche grazie all’appoggio delle potenze occidentali che non riconoscevano (ancora) la Cina di Mao come gli USA.
Un’ulteriore frattura tra la Cina di terraferma e la Cina insulare venne concretizzata dal regime di Chiang Kai-Shek, nel bel mezzo del “terrore bianco” (1949-1992): fu un periodo duro per la popolazione dell’isola, reduce dell’occupazione imperiale Giapponese, a causa della politica repressiva e dittatoriale del Kuomintang in nome della lotta anti-comunista. Anarchici e comunisti venivano incarcerati o condannati alla pena capitale, contando in tutto circa 40 mila persone giustiziate.
Le crisi dello stretto di Taiwan e la minaccia nucleare
Durante l’agosto del 1954 Chiang Kai-Shek trasferì 58.000 soldati a Quemoy e 15.000 nel vicino arcipelago del Matsu, dando inizio alla prima delle quattro crisi dello stretto di Taiwan. Le azioni di Chiang irritarono Pechino al punto di minacciare l’uso della forza per impossessarsi dell’Isola. Contemporaneamente, l’amministrazione statunitense si dichiarò pronta a difendere l'isola di Taiwan da un eventuale attacco cinese.

Nonostante le intimidazioni USA, l’esercito popolare di liberazione diede inizio a pesanti bombardamenti sull’arcipelago di Kinmen, nel Fujian meridionale. Attuò una mossa politica volta a focalizzare l’attenzione mondiale sulla sovranità della Repubblica Cinese nei confronti dell’Isola di Taiwan e sull’accerchiamento americano nella regione.
Questa escalation sulle isole dette “offshore” aumentò le tensioni internazionali, a maggior ragione trattandosi di isole con implicazioni strategiche sia per i nazionalisti che per i comunisti. Da un lato Pechino doveva dimostrare la propria autorità nei dintorni dell’Isola ribelle, d’altro canto Chiang sapeva che mantenere il controllo di queste isole significava avere una sorta di blocco navale delle coste cinesi.
Dopo solo tre anni di tregua, l’esercito popolare di liberazione riprese i bombardamenti su Quenoy. Gli USA risposero con l’invio di portaerei, veicoli d’assalto e caccia bombardieri a rinforzo delle isole.
Gli USA erano davvero intenzionati a utilizzare ordigni nucleari a difesa di Taiwan?
Ancora oggi gli storici si dividono a riguardo. Ciò che è certo è che nello stesso momento Washington invitò i leader nazionalisti del KMT alla prudenza per evitare conseguenti provocazioni di Pechino.
Dopo queste due crisi si presentarono altri due casi di ostilità tra Pechino e Taipei: nel 1995, durante una serie di episodi di ostilità che si conclusero con l’arrivo di portaerei statunitensi, e nel 2022 in seguito alla controversa visita della speaker della camera Nancy Pelosi a Taipei.

Il voltafaccia dell’Occidente: l’espulsione di Taiwan dalle Nazioni Unite
Nel 1945 la Repubblica di Cina e successivamente Taipei ottenne un seggio permanente alle Nazioni Unite insieme agli altri membri formatori. Tutto questo verrà modificato dalla risoluzione 2758 delle Nazioni Unite adottata il 25 ottobre del 1971: nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu il rappresentante taiwanese del Kuomintang venne sostituito con un rappresentante della Repubblica Popolare.
La comunità internazionale accettò il principio della “One China” escludendo Taipei e inserendo al posto suo la Repubblica Popolare Cinese che d’ora in poi rappresenterà l’isola alle Nazioni Unite. In questo modo Taiwan cessò di essere uno Stato sovrano e perse buona parte dell’appoggio occidentale.
Ma per quale motivo Taiwan venne espulsa dalle Nazioni Unite?
Inizialmente l’amministrazione americana appoggiò il partito nazionalista di Taipei per contrastare il nemico comunista cinese. Tuttavia, in virtù della più importante lotta nei confronti dell’URSS, risultò più utile avvicinare la Cina continentale agli Stati Uniti
La visita del presidente Nixon in Cina: un nuovo alleato in funzione anti-sovietica
L’atteggiamento statunitense nei confronti di Pechino, e di conseguenza nei confronti di Taipei, cambiò radicalmente nel 1971, soprannominato “anno della diplomazia del Ping pong”.
Nell’aprile dello stesso anno infatti gli atleti americani della nazionale di tennis furono invitati dalla nazionale cinese a Pechino, in seguito a un loro avvicinamento durante i mondiali in Giappone: da un semplice passaggio offerto dai giocatori cinesi a un americano nacque una vera e propria amicizia tra le due squadre. I giocatori furono i primi americani a mettere piede nella Cina di Mao dopo la rivoluzione comunista del 1949, un momento storico che segnerà il dialogo tra i due Stati.
L’evento dei mondiali di Nagoya si rivelò decisivo per un avvicinamento che avvenne nello stesso anno, quando il presidente Nixon si recò in visita ufficiale nella Repubblica Popolare: per la prima volta nella storia un presidente USA in carica venne accolto dalla Cina comunista.
L’isolamento era concluso e gli USA non avevano più interesse ad appoggiare Taiwan come in passato.
Una momentanea riappacificazione: il Consenso del 1992 e l’unica Cina
Dal voltafaccia occidentale in poi Taiwan rifiutò varie proposte di unione economica della Cina, come nel caso della “politica dei tre no”: tre rifiuti alle proposte cinesi di creare collegamenti a livello commerciale, postale e turistico.
Il rifiuto di Taipei di unirsi alla Repubblica Popolare portò, nel 1992, alla stipula del controverso “Consenso”. Il Consenso del 1992 fu un accordo non scritto tra Pechino e Taipei in cui si afferma l’esistenza di una sola Cina. La criticità dell’accordo risiede nel fatto che sia Taipei che Pechino concordano sull’esistenza di una sola Cina, ma non su chi dei due la rappresenti.
L’avvicinamento del KMT a Pechino e l’ascesa del DPP: una forza alternativa e separatista
Oggi il Consenso del ‘92 viene rifiutato in particolare dal Partito Democratico Progressista (DPP), partito nazionalista che a differenza del Kuomintang attuale spinge verso una maggiore sovranità dell’isola e sostiene la politica delle “Due Cine”. Fondato nel 1986, il DPP ha sempre negato la validità del Consenso, stipulato dai rappresentanti del KMT, e che perciò nessun governo deve sentirsi vincolato ad esso.
Lo scorso anno, nelle elezioni presidenziali del Gennaio 2024, il Partito progressista Democratico (DPP) ha vinto contro il Kuomintang e il Partito Popolare e ciò potrebbe modificare l’equilibrio con la Cina e mettere in discussione gli accordi passati.
In sintesi, laddove il KMT decise di ammorbidirsi davanti alle richieste di Pechino, il DPP enfatizza l’idea di Taiwan come nazione separata e del tutto indipendente dalla Cina continentale, allontanandosi dalla politica attuale del KMT. Sarà proprio un rappresentante del KMT, Ma Ying-Jeou, presidente della Repubblica di Cina dal 2008 e 2016, a stringere la mano al suo omologo Cinese Xi nel 2015 a Singapore.
L’occidente torna a Taiwan: la visita di Nancy Pelosi a Taipei e la politica dell’ambiguità strategica
Come previsto dal “Taiwan Relation Act”, una serie di disposizioni del 1979 in merito al rapporto con la Repubblica di Cina, gli USA non negarono mai del tutto un ipotetico intervento militare ma d’altro canto continuarono a seguire un’ambiguità strategica dialogando con la RPC e tentando di dissuadere quest’ultima dall’unificazione con Taiwan.
In questo modo gli USA riconoscono una sola Cina continentale ma supportano l’autonomia dell’Isola.
L’avanzata economica della Cina sotto la guida di Deng Xiaoping e la mancata svolta politica anti-comunista, insieme all’avvicinamento con la Russia di Putin, hanno portato gli USA a rivalutare la loro politica nella regione. Con la salita al potere nel 2016 del DPP la situazione ha iniziato ad essere sempre più tesa, in particolare a causa di continue esercitazioni militari cinesi intorno all’isola di Formosa. Con la visita di Nancy Pelosi nell’agosto del 2022, speaker della Camera degli USA, accolta a Taipei dalla presidente Tsai Ing-Wen, le relazioni tra Cina e USA sulla prospettiva futura di Taiwan si sono ulteriormente deteriorate.

Questo allo stesso tempo provocò una pericolosa escalation tra le due potenze: da un lato diverse navi USA si posizionarono a nord dell’Isola e dall’altro 71 aerei e 7 navi militari cinesi si avvicinarono superando la linea di demarcazione territoriale e alzando la tensione nello stretto.
Oltre alla momentanea sospensione delle importazioni di agrumi e dolciumi e alle seguenti massicce esercitazioni militari, il 2022 rappresentò una frattura dal punto di vista delle relazioni tra i due paesi.
Con le elezioni del 2024, Lai Ching-Te, esponente del DPP e attuale presidente della Repubblica di Cina, ha confermato la spinta separatista e indipendentista dell’isola.
L’Alleanza strategica tra Taiwan e Israele
Tra i nuovi alleati commerciali di Taipei spicca lo stato di Israele che in questi ultimi anni ha affiancato Taiwan nella produzione del sistema di difesa aereo utilizzato dallo Stato Ebraico: il T-Dome, una rete di difesa aerea che dovrebbe difendere l’isola da eventuali attacchi di Pechino, secondo gli Israeliani un vero e proprio “scudo di ferro”. Davanti all’ambiguità strategica americana il presidente Lai decide di armarsi e allargare i rapporti con gli altri Stati.
I rapporti con Israele hanno radici precedenti al 7 ottobre: dagli anni '70 in poi i due hanno stretto relazioni tecnologiche e militari. Dopo il massacro del 7 ottobre il presidente taiwanese Tsai Ing-wen fu tra i primi leader mondiali a condannare l’accaduto.
I due si sentono accomunati da valori condivisi nel campo democratico-occidentale e da una reciproco isolamento internazionale, il quale spinge entrambi gli Stati a rafforzare le loro relazioni bilaterali.
I motivi strategici della loro relazione oltre ad essere legati all’ambito della sicurezza rimandano anche al proprio contesto geopolitico : vicinanza di uno Stato potente ritenuto ostile (Iran e Cina), la necessità di sviluppare di continuo le proprie competenze nella difesa e infine legami storici con gli USA che utilizza entrambi come perni della propria politica estera nei quadrati mediorientale e pacifico.
La questione dei semiconduttori dietro l’interesse occidentale
Un ulteriore motivo a sostegno dell’appoggio occidentale è il ruolo primario di Taiwan in un ambito specifico : la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) detta anche la “regina globale dei chip”, leader nella produzione di semiconduttori.
Per ogni apparato elettronico progettato nel 2025 i semiconduttori sono fondamentali, pensiamo a quelli per la realizzazione di microprocessori nell’industria automobilistica o quelli utilizzati per le componenti degli smartphone che utilizziamo quotidianamente.
Nel caso della TMSC stiamo parlando di un primato mondiale, un’azienda capace di fornire chip per dispositivi mobili con tecnologie innovative, potenti ed efficienti dal punto di vista energetico e richiesti da big dell’elettronica come Apple e Samsung : oltre la metà dei chip prodotti a livello mondiale sono della TMSC.
Tra le “rivali” della regina globale dei chip spicca non a caso l’azienda cinese Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), una delle più grandi aziende di semiconduttori della Cina continentale che annovera tra i propri clienti il colosso tecnologico statunitense della Qulalcomm.
Questo significa che Taiwan in mano cinese porterebbe a un’acquisizione totale da parte della RPC della produzione di semiconduttori e in caso di guerra a un blocco parziale prolungato che potrebbe ridurre del 5% il pil globale con miliardi di dollari di perdita e gravi interruzioni nei settori automobilistici o informatici.

“La Cina non invaderà l’Isola fino a quando il Tycoon sarà alla Casa Bianca” questo quanto promesso dal presidente Cinese XI al suo omologo statunitense Trump lo scorso Agosto. Negli ultimi tempi, l’atteggiamento mutevole della Cina nei confronti di Taiwan mette in dubbio il futuro politico, sociale ed economico dell’Indo pacifico.
Lo status internazionale e il futuro dell’Isola sono fondamentali nell’equilibrio del pacifico, il quale potrebbe essere messo in discussione da un accesso della Cina agli oceani.
Bisogna ricordare che dietro alle insistenze cinesi c’è il principio dell’unità nazionale, un principio costituzionale che spinge Pechino a voler portare l’Isola Ribelle sotto la propria egemonia.
Il 30 ottobre, il presidente Xi ha incontrato il suo omologo statunitense Trump a Busan (Corea del Sud) per trattare sul commercio globale, sulle terre rare e sulla tecnologia dove emerge la questione su Taiwan per la produzione di semiconduttori.
Quale sarà il futuro dell’isola?
È poco probabile che Trump voglia intervenire militarmente a Taiwan in caso di un’eventuale dichiarazione di indipendenza e della conseguente occupazione militare cinese, visto che l’agenda del Tycoon in politica estera ha grandi questioni da risolvere come in Ucraina e nella striscia Gaza ( aggiungiamo anche il Venezuela e il “regime change” dell’erede di Chavez), tuttavia non possiamo conoscere l’atteggiamento futuro degli USA.
L’unica cosa certa è che Taiwan costituisce una delle tematiche chiave nell’equilibrio globale, sia per quanto riguarda la leadership tecnologica e strategica sia per il dibattito sull’autodeterminazione dei popoli.
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