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Orban e l’Ungheria: cronache di una democrazia svuotata

  • Lorenzo Piccheri
  • 5 lug
  • Tempo di lettura: 5 min
Orban e l’Ungheria: cronache di una democrazia svuotata

Nel cuore dell’Europa centrale, dove la cultura balcanica si fonde con quella slava, una nazione si è resa negli ultimi anni tallone d’Achille dei valori democratici europei: l’Ungheria. Prima nazione a ribellarsi al dominio sovietico nel 1956, è oggi dito della longa manus russa in pieno territorio Europeo, un paradosso storico reso più amaro dal fatto che a guidare questo declino democratico sia proprio il partito vincitore delle prime elezioni democratiche post-sovietiche, Fidesz.

Il prestanome del dominio russo in territorio magiaro è Viktor Orbán, il quale, sui 36 anni trascorsi dalla dichiarazione d’indipendenza della Repubblica d’Ungheria, ha detenuto il potere per 19 anni di cui gli ultimi 15 consecutivi.

Nel 1988 Orbán e altri giovani intellettuali anticomunisti fondano Fiatal Demokratàk Szovetsége (Alleanza dei Giovani Democratici) conosciuto come Fidesz, partito liberale, filo-europeo e anticomunista. Viene eletto nel 1998 e rimane al potere fino al 2002, anno in cui viene battuto dal MSZP, il Partito Socialista Magiaro. 


Dopo la sconfitta, viene avviato un processo di rinnovamento dell’identità di Fidesz, abbandonando l’identità liberale per abbracciare un conservatorismo nazionalista, basato sui valori tradizionali di Dio, patria e famiglia nonché sul rifiuto delle ingerenze esterne.


Sfruttando l’insoddisfazione generale nei confronti del governo socialista, Fidesz stravince le elezioni del 2010 ritrovandosi con una maggioranza di oltre i due terzi dei seggi, il che permette di avviare una serie di riforme costituzionali e di consolidamento del potere


Inoltre, l’avvicinamento tra Orbán e Vladimir Putin ha sollevato preoccupazioni in tutto il nuovo blocco occidentale: il governo magiaro ha infatti più volte bloccato pacchetti di sanzioni verso la Russia nonché l’invio di armi all’Ucraina. 




Orban e l’Ungheria: cronache di una democrazia svuotata

La nuova Costituzione rafforza il potere esecutivo, indebolisce il ruolo del Parlamento e ridimensiona l’autonomia della Corte Costituzionale, i cui membri vengono in larga parte nominati dallo stesso governo. Parallelamente, la drastica riduzione del numero di seggi parlamentari assicura a Fidesz un vantaggio strutturale sui piccoli partiti e sulle opposizioni.


Ma la trasformazione più grave avviene altrove: nell’informazione, nelle scuole e nella società civile. Viene creato un Consiglio dei Media, con il potere di sanzionare i media critici verso il governo. Viene favorita la concentrazione di proprietà di giornali, televisioni e radio in mani vicine al partito. Persino sulle scuole viene imposto maggior controllo statale, tanto da costringere ad esempio la Central European University di George Soros a spostare la propria sede all’estero (sebbene lo stesso Soros avesse finanziato con una borsa di studio il breve percorso universitario del primo ministro ungherese).


La natura illiberale del nuovo Fidesz porta anche ad una restrizione dei diritti LGBT+. Tra questi c’è la ridefinizione del matrimonio come unione di un uomo e una donna, sommato al divieto imposto nel 2020 di modificare il sesso nei documenti ufficiali e seguito nel 2021 dal divieto di promuovere e rappresentare dell’omosessualità e la riassegnazione di genere ai minori di 18 anni.


Tali provvedimenti sono stati oggetto di azioni legali da parte della Commissione Europea sostenute da 15 stati, in quanto violazione dei diritti fondamentali. La mancanza di efficaci strumenti di coercizione unita alla lunghezza procedurale hanno però impedito che tali procedimenti sortissero alcun effetto.


I provvedimenti repressivi, però, non hanno impedito lo sviluppo della comunità LGBT+ anche in Ungheria. Infatti, all’annuale marcia del Budapest Pride 2024 furono più di 30 mila le persone a sfilare per le strade della capitale magiara.


Forse proprio questi numeri, uniti alla crescente influenza dell’opposizione, hanno portato all’approvazione, nel marzo 2025, di una legge che vieta l’organizzazione o la partecipazione a manifestazioni che promuovono l’omosessualità, in quanto considerate dannose per i minori.


Tuttavia, la tanto cara dialettica del “perché nessuno pensa ai bambini?” si è scontrata contro il sindaco di Budapest Gergely Karacsony, del partito di centro-sinistra “Dialogo per l’Ungheria”, il quale ha dichiarato l’evento come manifestazione municipale, aggirando così le restrizioni legali. 


Alla marcia hanno preso parte quasi 200 mila persone, record assoluto per l’Ungheria, con la partecipazione di rappresentanti di oltre 30 paesi (tra cui i nostri Elly Schlein e Carlo Calenda), che hanno manifestato congiuntamente per chiedere sia maggiori tutele verso i componenti della LGBT+, sia che il governo cessi i comportamenti minatori delle libertà individuali.


In risposta, Orbán si è lanciato in accuse di orchestrazioni da parte di Bruxelles, tentando di evidenziare come, senza un governo autoritario, l’Ungheria diventerebbe “serva” dell’Unione Europea

Il primo ministro si rende così mago del bastone e della carota, rivendicando di facciata la sua indipendenza da Bruxelles seppur non disdegnando i 28,6 miliardi di euro che riceverà la sua nazione tra il 2021 e il 2027, sebbene i fondi siano stati più volte congelati a causa di corruzione negli appalti e mancanza di trasparenza.


Il partito Fidesz, che tanto si regge sulla dialettica conservatrice, tradizionalista nonché giustizialista, ha però qualche scheletro nell’armadio. Infatti, il primo ministro dimentica o meglio omette di ricordare di aver assegnato a Istvàn Tiborcz, imprenditore nonché suo genero una serie di fondi europei destinati a progetti agricoli, nel pieno stile familista che contraddistingue e accomuna vari governi conservatori di oggi. 


Rimanendo sugli scandali finanziari, come non riportare che il sedicente “primo servitore della nazione” avrebbe speso circa 40 milioni di euro prestati da banche filo-governative per ristrutturare una villa di 2000 metri quadri, formalmente intestata al padre. Evidentemente però i duemila metri quadri non erano abbastanza. Per questo motivo, stando ad alcune inchieste, un fondo d’investimento vicino al governo ungherese avrebbe acquistato una villa da 4,3 milioni di euro sul Lago di Varese, per il cui acquisto sarebbero stati coinvolti anche fondi pubblici.


Inoltre, il governo ungherese ha più volte dimostrato di tenere molto alla salute mentale e all’educazione dei bambini e dei minori. Forse proprio per questo la presidente della Repubblica Katalin Novak ha concesso la grazia ad Endre Konya, un funzionario condannato a tre anni di reclusione, per aver tentato di convincere alcuni minori vittime di abusi sessuali a ritrattare le loro accuse che avevano portato alla condanna del direttore di un orfanotrofio a 8 anni di reclusione per aver abusato di almeno 10 bambini tra il 2004 e il 2016. 

Orban e l’Ungheria: cronache di una democrazia svuotata

Infine, come dimenticare quando in pieno lockdown, nella tanto odiata Bruxelles, l’eurodeputato nonché fondatore di Fidesz Jòzsef Szàjer si fece sorprendere a partecipare ad un’orgia gay, dalla quale tentò di scappare calandosi da una grondaia. “Facile essere gay nelle nazioni degli altri”.


Le opposizioni non sono però in letargo: fu proprio Peter Magyar, oggi principale figura d’opposizione, a far scoppiare lo scandalo legato alla pedofilia in seguito alla pubblicazione di un audio che ne suggeriva l’insabbiamento. 


In seguito, il 15 marzo 2024, in occasione della ricorrenza della rivoluzione ungherese del 1848, una manifestazione di 80 Mila persone in opposizione al governo ha invaso Andrassy utca, una delle arterie principali della città. In questa occasione, Magyar ha lanciato un appello a una “coalizione nazionale” contro il governo di Orbán. 


Il partito d’opposizione Tisza, fondato proprio da Magyar, ha guidato nuovamente le persone nelle piazze ungheresi tra marzo e aprile di quest’anno, nel tentativo di bloccare la legge anti-Pride e le modifiche costituzionali ulteriormente lesive dei diritti LGBT+.


Ad oggi, Tisza è però avanti nei sondaggi per le elezioni parlamentari, e un’eventuale vittoria potrebbe gettare le basi per un’Ungheria rinnovata e democratica.


Orban e l’Ungheria: cronache di una democrazia svuotata

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