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Social e Politica

  • politicazeta
  • 12 set
  • Tempo di lettura: 9 min

Ieri e oggi

Il termine politica deriva dal greco politiké, ossia “gli affari della città”, a cui ogni cittadino prendeva parte attraverso assemblee, dibattiti e votazioni. Politica implicava dunque una partecipazione attiva e propositiva, uno scambio di idee con l’obiettivo di curare la comunità che abitava la Polis. Oggi la politica si è spostata dall’agorà al nostro salotto.


Nel giro di pochi anni alle piazze gremite di manifestanti e bandiere si sono preferiti gli account social, che nel giro di pochi secondi permettono a ogni politico di esprimere il proprio rammarico o il proprio appoggio per una determinata situazione, di presentare i propri programmi di governo, o perché no di condividere le proprie preferenze culinarie.


Social come mezzo di democrazia

La social-politica diventa così un processo immediato, che permette a chiunque di ricevere e diffondere notizie con una velocità senza precedenti. Questa velocità è spesso ingestibile per gli organi di stampa e anche per gli stessi governi, favorendone la diffusione anche in paesi meno democratici: sono stati proprio social network come Telegram, YouTube e Twitter a permettere a Boris Nadezhdin di acquisire popolarità in vista delle precedenti elezioni russe, con una raccolta firme che ha coinvolto più di 200.000 persone. L’ex-sfidante di Vladimir Putin, contro la guerra in Ucraina e a favore di uno Stato di diritto, utilizzando la diffusione social ha creato un consistente numero di oppositori al regime, mostrando così che la Russia non è solo Putin.


Social come arma a doppio taglio

Dall’altra parte, tornando nel nostro stivale, però, non sempre i social sono stati utilizzati nel rispetto dell’istituzione rappresentata: il ministro Matteo Salvini, nel 2018 quando era ministro dell’Interno, in occasione di un moto d’orgoglio verso le forze dell’ordine che stavano conducendo un’indagine sulla mafia nigeriana, pubblicò un tweet lodando lo “straordinario intervento” dei carabinieri a Palermo contro la “nuova cupola di Cosa nostra”. Tale tweet suscitò l’ira dell’allora procuratore capo di Torino Armando Spataro, secondo il quale le indagini di polizia sarebbero state ancora in corso, e che un tweet del genere avrebbe potuto metterle a repentaglio.


Proprio Matteo Salvini fu uno dei maggiori avventori della social-politica, mediante l’utilizzo de “La Bestia”, una macchina comunicativa composta da un team di 35 esperti che raccontavano la sua vita 24 ore su 24, mostrando il leader sovranista come un uomo di popolo: 17 post al giorno, 61 milioni di interazioni e 5 milioni di ore di video visualizzati. Un lavoro continuo, studiato per tenere sempre alta l’attenzione. Tra questi troviamo anche i celebri estratti dalle live instagram durante la pandemia del 2020, nelle quali rispondeva a domande del calibro di “Salvini sei gay?”. Tutto ciò concorreva a costruire l’immagine di un leader vicino al popolo e che non ha bisogno di nascondersi da nessun tipo di domanda. 


L'annullamento delle distanze fisiche, unito alla mancanza di filtri dovuta dall'immediatezza dei post, ha spesso generato situazioni grottesche: il senatore Gasparri (FI) che, in occasione di un alterco su twitter, si sente autorizzato ad insultare la madre del suo interlocutore; il senatore Borghi (Lega) che a più riprese si è trovato a diffondere fake news sui vaccini e sul cambiamento climatico; il senatore Pillon (Lega), che ha espresso commenti di supporto a…se stesso, dimenticandosi di cambiare account. Ultimo, ma assolutamente non per importanza, un post recente di Fratelli d’Italia che ritrae, grazie all’intelligenza artificiale, la premier Giorgia Meloni in stile Studio Ghibli che “dribbla” con un pallone da calcio i maggiori esponenti della sinistra, che per l’occasione indossano una casacca sulla quale si stagliano la falce e il martello: “con Giorgia Meloni vince l’Italia”.



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La social-politica evidenzia così delle problematiche non indifferenti: il rispetto per l'istituzione rappresentata rischia di degradare, e i filtri di verifica vengono eliminati. Inoltre, questa porta inevitabilmente all’utilizzo di un linguaggio semplice, diretto e incisivo, con l’obiettivo di centrare direttamente la coscienza sociale dell’ascoltatore, ben diverso da quello complesso, aulico e spesso demagogico a cui si era abituati in altri tempi. 


Mezzo di comunicazione efficace

I social network sono, ad oggi, il mezzo di comunicazione più efficace a livello mondiale, e questo dato è ancora più evidente se lo si riduce alla popolazione giovanile. Secondo il Rapporto Censis 2024, l’83,7% degli italiani si informa utilizzando i social network, di cui però solo il 30% utilizza le pagine dei quotidiani. La parte restante si informa mediante Twitter, Instagram, TikTok, YouTube o Facebook. Inoltre, solo il 5,6% dei giovani dichiara di leggere quotidiani cartacei regolarmente. Dati che di certo non stupiscono, ma danno una misura dell’impatto che può avere l’utilizzo dei social network da parte della classe politica.


L’informazione non passa quindi solamente dall’articolo, tantomeno è riducibile al post su Instagram: oggi come ieri, uno dei più potenti mezzi d’informazione è la satira, riadattata sotto forma di meme. In Italia, la componente “meme” nell’informazione è stata portata, nel decennio passato, dalla pagina facebook “Le più belle frasi di Osho”, che prendeva foto decontestualizzate dei nostri politici e le abbinava a frasi comiche. I meme hanno preso sempre più piede, arrivando quest’anno ad ottenere rilevanza politica: in occasione dell’attentato alla vita dell’allora candidato presidente degli Stati Uniti Donald Trump, alcuni account facenti parte del cosiddetto “Twitter Calcio” italiano, ovvero una community di account particolarmente attivi nel commentare le vicende calcistiche, sparsero la notizia che l’attentatore fosse tale Mark Violets, pseudonimo di fantasia meccanicamente tradotto dal nome del giornalista italiano Marco Violi. Tale, evidente, fake news era accompagnata dalle foto del giornalista, che nel giro di pochi minuti fecero il giro del mondo finendo anche su varie e importanti testate giornalistiche. 

Non solo fonte di ilarità: l’obiettivo dei meme è infatti in tutto e per tutto coincidente con quello della satira: denunciare un determinato fatto,  ispirare un ragionamento, instillare curiosità e diffondere così conoscenza. Sempre più spesso, mezzi di informazione meno convenzionali, come video su tiktok o reels, vengono utilizzati per raggiungere il grande pubblico. 


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Intervista a Matteo Hallissey

Ne abbiamo parlato direttamente con Matteo Hallissey, dal 9 febbraio 2025 presidente del partito +Europa. Classe 2003, ha saputo sfruttare il format degli “shorts”, ovvero video brevi ma d’impatto, per trasformare iniziative e campagne in messaggi immediati. La sua comunicazione rappresenta uno dei casi più evidenti di come i social stiano ridefinendo il linguaggio politico contemporaneo. 



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Nelle tue collaborazioni con Ivan Grieco avete utilizzato un format molto conosciuto sui social: quello dei “prank”, impostati però con un risvolto sociale e di sensibilizzazione (penso al “FakeTaxi” a Termini o all’ombrellone in mezzo allo stabilimento). Come è nata questa idea? Credi che contenuti di questo tipo possano giocare un ruolo importante nel riavvicinamento dei giovani alla politica, considerati i dati sempre più preoccupanti sull’astensionismo? 


“Semplicemente si tratta di utilizzare qualche guizzo di creatività per permettere a questioni complesse come il problema del trasporto pubblico o delle concessioni balneari di approdare anche su piattaforme dove tendenzialmente domina la semplificazione e dove quindi è sempre più difficile far arrivare la politica vera. Peccato che sopratutto i giovani formino le loro opinioni in larga parte proprio attingendo a questi canali, per cui rinunciare a ad essi oggi sarebbe un atto di suicidio politico in prospettiva. Non confondiamo però queste iniziative con gli scherzi o l’intrattenimento: si tratta di azioni politiche che mettono in campo il corpo per far valere il diritto sui soprusi di chi con la prepotenza e la pressione politica vuole far prevalere su di esso i suoi interessi corporativi.”


⁠Seppur con modalità diverse, pochi anni fa una giovane come noi ha provato a innescare un cambiamento: Greta Thunberg. Oggi, però, il suo nome è diventato “antipatico” per molti, il che spesso porta a ignorare ogni sua dichiarazione in quanto pronunciata da lei. Quanto è rischioso, con il tuo tipo di comunicazione, finire per diventare (come ti definisce Riccardo Magi nella tua campagna per le regionali emiliane) un rompic****i? In che modo ciò impatterebbe la tua strategia e cosa fai per prevenirlo?


“Ahah, sì, Riccardo si era prestato ad uno sketch volutamente provocatorio, ma credo avesse colto nel segno. Anni fa Emma Bonino diceva che servirebbe una sorta di Greta Thunberg del debito pubblico, e, dal mio punto di vista, aveva pienamente ragione. Se non iniziamo a denunciare con la stessa forza anche questi temi, che per le nuove generazioni rappresentano un’altra apocalisse silenziosa, chi fermerà la classe politica dal perpetrare l’ennesimo furto generazionale?

Sì, forse saremo rompicoglioni, ma come ricordava Marco Pannella, a volte è necessario essere impopolari per non essere antipopolari. Personalmente, non temo di non piacere. Temo, piuttosto, che nel tentativo di compiacere gli elettori di oggi, troppi politici finiranno per non riuscire a guardare negli occhi quelli di domani, i loro figli, i loro nipoti.”


La tua comunicazione mischia ad ironia e provocazione l’eleganza e la semplicità di un ragazzo auto-costruito. Nella tua campagna per le regionali in Emilia-Romagna “Non votate Matteo”, un video dallo sfondo ironico ti fa però da manifesto: anziché invitare a scrivere il tuo nome, infatti, inviti le categorie che ritieni contrarie al tuo pensiero, come tassisti evasori, filo-russi, bigotti e non solo, a non votare per te. Come hai avuto quest’idea e che risultati ha portato?


“Ho pensato che potesse essere interessante trasformare proprio la mia vocazione all’impopolarità in un punto di forza per costruire la mia campagna elettorale. Perché, paradossalmente, credo che siano proprio le ragioni per cui non si dovrebbe votare per me a offrire, a chi ha il coraggio di condividere le nostre idee in un Paese così addormentato, le vere motivazioni per farlo.

Se ti piace questo sistema corporativo, se credi che per farsi strada servano favori invece che merito, se accetti il silenzio di fronte alle ingiustizie e non ti disturba che il più forte schiacci il più debole, allora è chiaro: io non sono il politico giusto per te.

Ma sono convinto di non essere il solo a immaginare un’Italia diversa.”


⁠Quanto i social sono diventati necessari per la campagna elettorale? È ancora possibile fare politica senza essere sui social network?


“Credo sia estremamente difficile. Oggi i social sono le nuove piazze, nel bene e nel male. Questo non significa necessariamente che si debba perdere per strada tutto il resto, tutto ciò che non è virtuale, ma certamente non si può prescindere da questi nuovi spazi. D’altronde la politica, come ogni fenomeno umano si deve adattare ai mutamenti alle evoluzioni della società e, nello specifico, come un liquido prende la forma del suo contenitore e si espande finché può, così la politica tende a ricoprire tutti gli spazi che ha a disposizione, dove c’è uno spazio vuoto c’è qualcuno che se lo prende. Ma non è la prima volta che accade: i politici che arringavano il mercato hanno lasciato spazio a quelli che lo facevano via radio, quelli della radio hanno lasciato spazio a quelli della televisione e così via. Nulla di rivoluzionario.”


⁠Credi che il linguaggio politico abbia bisogno di essere svecchiato, così da includere maggiormente i giovani nel dibattito sociale? Credi sia necessario tracciare una linea d’equilibrio tra svecchiamento (come il vostro caso o quello dei video di Gualtieri) e rispetto dell’istituzione che si rappresenta (es. Aldo Moro in giacca e cravatta al mare)?


“Io credo che sia assolutamente necessario un ricambio generazionale. In parte sta già avvenendo ma, come dicevo prima, servono politici in grado di interpretare il presente. Credo che al di là delle formule e dei formalismi che penso manchino a pochi il vero problema di questa nuova politica sia l’aver perso l’intermediazione con le persone. Oggi la politica è sorprendentemente vicina, quasi palpabile: votiamo ciò che più ci somiglia, ciò che riflette le nostre paure, i nostri difetti, ciò che ci rassicura perché ci appare familiare, più simile a ciò che siamo che a ciò che vorremmo diventare. È anche da qui che trae forza il populismo dell’“uno vale uno” e tutto ciò che ne consegue.

Ma non commettiamo l’errore di attribuire la colpa esclusivamente ai social: il vero problema è un lento ma costante scivolamento, in corso da oltre vent’anni, verso una politica ridotta a puro marketing. I partiti hanno finito per trasformare le istituzioni in comode sistemazioni per il didietro dei più fedeli, svilendo la funzione pubblica, e la stampa in un ricettacolo di “veline”, più che in un luogo di confronto e domande scomode. Se non ripensiamo profondamente l’intero sistema, il futuro della politica rischia di essere popolato di like, ma povero di democrazia, e drammaticamente incline all’autoritarismo.”



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Giorno dopo giorno cresce la schiera di personalità legate alla politica che si avvalgono dei nuovi mezzi di comunicazione: uno dei più famosi avventori è oggi il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Viene infatti definito “il più social dei sindaci”, appellativo guadagnato grazie al metodo-Cinà, che negli ultimi due mesi del 2024 ha fruttato al Primo Cittadino Romano ben 14 milioni di visualizzazioni su TikTok.


Il metodo è estremamente semplice, quanto efficace: il sindaco presenzia sul territorio, sempre fornito di casco antinfortunistico e giubbotto catarifrangente, e spiega l’evolversi dei lavori di manutenzione, rifacimento o rinnovo nei vari quartieri di Roma. L’idea, quasi paradossale, di un membro della pubblica amministrazione che si mostra su TikTok come un qualsiasi influencer, illustrando i piani e i traguardi della sua giunta, si è dimostrata brillante, tanto da suscitare l’ispirazione di comici e imitatori.



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Il sindaco ha raccontato, in occasione della Festa dell’Unità del 2025, che l’idea nasce in risposta all’immobilismo romano delle giunte precedenti, che ha portato all’accumularsi di progetti come quello di Piazza Pia e della fermata della linea C della metropolitana a Piazza Venezia, generando l’ira dei cittadini romani per i disagi arrecati alla viabilità: “L’unico modo è: spieghiamole. Capiranno che, se non altro, questo disagio serviva a qualcosa”. Continua spiegando che il segreto del funzionamento del format sta nel mostrare “cose vere”, senza promesse, invettive o lodi, mostrando semplicemente i fatti compiuti: “Le parole sono solo a commento dei fatti”


A proposito di ciò, abbiamo chiesto al sindaco in che modo reputa che la comunicazione via social possa cambiare il rapporto cittadino-istituzione:


“Può cambiarlo in meglio o in peggio, dipende da come la si usa. Se essa è basata sul racconto delle cose vere può essere molto positiva e aiuta a raccontare le cose in modo diretto. Se invece si basa su un atteggiamento egocentrico, manipolatorio e distaccato dalla realtà può essere un veicolo di degrado del dibattito pubblico. I social sono uno strumento potentissimo, però c’è molta differenza rispetto a come li si usa.”


La social-politica è dunque uno strumento estremamente potente, dalla capacità da un lato di avvicinare, educare e democratizzare, ma dall’altra di distorcere e degradare. Anziché scegliere di etichettarla come bene o male, è bene imparare ad utilizzarla con coscienza, e ad usufruirne con spirito critico, riscoprendo il valore della partecipazione attiva alla vita politica.
















 
 
 

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